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Esiste  un confine tra complicità con il male e la virtù con cui si vuole combattere lo stesso male?

In una situazione di normalità, ed avendo  come dote integrità morale e cura del bene, la scelta da fare è unica ed è quella “virtuosa”.

Cambiando  contesto  storico,  e riferendoci  al periodo  della Seconda guerra mondiale, è possibile che per salvare la vita di migliaia di persone bisogna aver agito in complicità con il male personificato in un regime?

Gertrude van Tijn ha salvato dal nazismo migliaia di ebrei, eppure è stata accusata da qualcuno  di collaborazionismo.

Gertrude Francisca Cohn nasce il 4 luglio  1891 a Braunschweig in Germania. A ventiquattro  anni è in Olanda ed è qui  che entra in contatto  con il movimento  sionista.

Nel 1919 sposa l’ingegnere Jan van Tijn e ritorneranno in Olanda solo alla fine del 1932, dopo aver vissuto in Svizzera, Messico e Sud Africa (dove nascerà il figlio della coppia).  Sempre nel 1932 visiterà per la prima volta la Palestina.

Nel 1933 Gertrude van Tijn inizia ad interessarsi per l’assistenza dei  rifugiati  ebrei: diventa rappresentante del Join Distribution Committee in Olanda e membro  di un comitato  consultivo  della Lega della Commissione delle Nazioni per i  Rifugiati.

Nel 1939 è tra le organizzatrici del  viaggio  della nave Dora che consentì ad un certo  numero  di  ebrei  di  raggiungere la Palestina partendo dal porto  di  Amsterdam.

L’episodio con il quale alcuni  vedono una complicità tra il regime nazista e Gertrude van Tijn riguarda il suo  viaggio a Lisbona nel maggio  del 1941: arrivò nella capitale del  Portogallo inviata dai  nazisti  per negoziare la partenza dall’Europa di migliaia di  ebrei  tedeschi ed olandesi. Nella sua posizione poteva salvare altri ebrei di  diversa nazionalità, oppure era una semplice pedina della volontà nazista?

È difficile stabilirlo, come del  resto è comprensibile a quale sollecitazione psicologica doveva essere sottoposta la donna per le sue scelte.

Bernard Wasserstein, storico  dell’Università di  Chicago,  ha scritto il libro “The Ambiguity of Virtue” cerca di  dare la sua interpretazione, basandosi  sulla critica storica, sul ruolo  dei consigli  ebraici istituiti  dai  nazisti e, in particolar modo, fornire al  lettore gli  strumenti per poter definire l’azione di  Gertrude van Tijn come eroica o solo come quella di una collaboratrice di  quella pazzia voluta da Hitler.

Gertrude van Tijn morirà a Portland (Oregon)  nel 1974