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Eduardo ed Helena: nonno e nipote uniti in una causa

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Eduardo Propper de Callejon nel giugno  del 1940 era a Parigi in veste di Primo  Segretario dell’Ambasciata di  Spagna: alla resa della Francia alla Germania di  Hitler, prevedendo  ciò che sarebbe accaduto agli  ebrei francesi, in soli  quattro giorni rilasciò migliaia di visti di  transito verso il Portogallo.

Quando il ministro degli Esteri  della Spagna si  accorse dei  visti non autorizzati, trasferì immediatamente Propper de Callejon in Marocco.

Nel 1972 venne dichiarato  come Giusto  tra le Nazioni.

Nel 2008 Eduardo Propper de Callejon morì.

Eduardo Propper de Callejon era il nonno  dell’attrice  inglese Helena Bonham Carter nominata come partecipante  presso la Holocaust Commission, istituita  da David Cameron nel 2014.

“Son of Saul” di Làszlò Nemes

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L’orrore del nazismo  rivive in due film di  cui il primo, Il labirinto  del  silenzio del  regista Giulio  Ricciarelli (in sala dal 14 gennaio 2016), racconta il processo avvenuto a Francoforte nel 1963, che portò alla sbarra ventidue uomini coinvolti  nella gestione del campo  di  sterminio  di  Auschwitz.

Era la prima volta che la Germania del  dopo guerra instaurò un processo penale per giudicare propri  connazionali  per i   delitti da loro commessi durante la Seconda guerra mondiale.

Il processo, voluto  dall’allora procuratore generale Fritz Bauer (egli  stesso ebreo  esiliato  in Danimarca nel 1940), non solo  ebbe una vasta eco in Germania per i  fatti riportati durante le udienze processuali ma,  soprattutto, fu il modo  in cui  un’intera nazione aprì gli occhi su  di un dramma che aveva rimosso  dalla propria coscienza collettiva: la Shoah.

Il film dell’ungherese Làszlò Nemes “Son of Saul” riporta indietro  nel  tempo, all’anno 1944, sempre ad Auschwitz: Saul Auslânder è un membro del  Sonderkommando (un gruppo  di prigionieri  ebrei costretti  ad assistere i nazisti nella loro opera di  sterminio). Saul, mentre svolge il suo  drammatico  compito,  scopre tra i  corpi  destinati  al forno  crematorio quello che crede suo  figlio.

A questo punto decide di  salvare il corpo  del  bambino  dalle fiamme per portarlo davanti  ad un rabbino e recitare il Kaddish  del  lutto e, quindi, offrire allo  sventurato una degna sepoltura.

A differenza del primo film, questo  film non racconta quello  che è  stata la Shoah, ma si  sposta sul piano  nel dramma personale di un uomo  costretto  dagli  eventi a perdere la sua umanità e ritrovarla in un’azione, quella di  salvare le spoglie mortali  del  bambino, vissuta come sua personale rinascita morale e, nello  stesso tempo, ribellione contro l’aberrazione nazista.

La “generosità” di un dittatore

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Tra il 6 luglio  ed il 15 luglio  del 1938 ad Evian – les – Bains (Francia) si  tenne una conferenza internazionale voluta dal presidente degli  Stati Uniti Franklin D. Roosevelt.

Tema di  quell’incontro era la discussione, insieme alle soluzioni  possibili, per il dramma dei  rifugiati  ebrei in fuga dalla Germania nazista. La gestione di quei profughi, in costante aumento, doveva essere gestito attraverso canali di emigrazione gestiti  dai  singoli  governi partecipanti  che si impegnavano, proporzionalmente alle loro capacità e dimensioni  territoriali, ad accogliere gli  ebrei in fuga.

Tra le nazioni  presenti  alla conferenza di  Evian    era presente anche la delegazione della   Repubblica Dominicana, governata da  Rafael Leònidas Trujillo giunto  al potere con metodi decisamente anti – democratici.

Eppure, nonostante la fama di  dittatore che Trujillo si  era aggiudicato nello scenario politico internazionale, egli concesse il visto per l’espatrio  dalla Germania  a circa settecento  ebrei che trovarono rifugio  a Sosua un insediamento  agricolo  della Repubblica Dominicana.

Non fu  certo per motivi  umanitari: nel 1937 il dittatore dominicano si macchiò del  sangue di  diecimila haitiani (se non di più) che vivevano nella zona di  confine tra la Repubblica Dominicana ed Haiti.

Il perché di  quel  genocidio è da ricercare sia nelle motivazioni  razziali (xenofobia nei  confronti  di persone di colore) sia come “punizione” nei  confronti  di  Haiti che,  a sua volta, accoglieva i profughi  dominicani in fuga dalla dittatura in atto nel proprio  Paese.

Quindi, per i commentatori di allora e per gli  storici  di oggi, l’aver accolto profughi  ebrei  era per Trujillo un modo  per ripulire la sua figura dopo  il massacro  degli  haitiani.

Forgiving MàXIMO Rothman è il noir di  esordio dello  scrittore A.J. Sidransky finalista al  National Jewish: la storia inizia con un omicidio di un novantenne sopravvissuto  all’Olocausto e si dipana seguendo le pagine del diario  della vittima che portano  fino  a Sosua.

Il libro non è stato ancora tradotto in italiano.

 

An Unknown Country

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Alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale molti dei più importanti  gerarchi nazisti riuscirono  a fuggire in Sud America, questo grazie anche alla complicità nota della Chiesa  che fornì loro i passaporti  diplomatici  della Santa Sede.

Ma l’ America meridionale non fu  solo  “terra di  salvezza”  per gli  aguzzini, ma lo  fu  anche per le loro vittime: An Unknown country  è il film della regista Eva Zelig che racconta, attraverso  le testimonianze dei  diretti protagonisti, la fuga in Ecuador di  alcuni  ebrei  e delle loro  difficoltà per adattarsi ad una nuova vita lontano  dal paese di  origine.

Essi  si  salvarono  anche grazie all’azione dell’allora console dell’Ecuador in Svezia Manuel A. Muñoz Borrero che concesse i passaporti necessari per l’espatrio.

Gli immigrati  ebrei, per le leggi  sull’immigrazione del Ecuador, trovano lavoro  presso il settore agricolo  e l’industria integrandosi  sempre di più con il tessuto  sociale del Paese sudamericano.

Nel decennio  successivo alla fine della guerra la quasi  totalità degli ebrei immigrati  ritornò da dove era partito: oggi  solo alcune centinaia di loro, compreso i discendenti, sono  rimasti in Ecuador.

 

 

Feng-Shan Ho: un cinese fra i “חסידי אומות העולם” (Giusti tra le nazioni)

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L’uomo ritratto nella foto si chiamava Feng-Shan Ho ed era, tra il 1938 e il 1940, console generale cinese a Vienna.

Proprio  grazie a questa sua posizione, disobbedendo agli ordini dei  suoi  superiori, riuscì a salvare la vita a quasi  duemila ebrei, il cui  destino sarebbe stato  quello  della deportazione, fornendo  loro  dei  visti  di  espatrio.

Feng-Shan Ho nel 1970 si  trasferì a San Francisco e solo  dopo  la sua morte, avvenuta nel 1997, si  ebbe notizia di  ciò che aveva fatto: nel 2000 venne riconosciuto  dal  governo  israeliano  come “Giusto tra le nazioni”.

 

 

Gertrude van Tijn: l’ambiguità della virtù

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Esiste  un confine tra complicità con il male e la virtù con cui si vuole combattere lo stesso male?

In una situazione di normalità, ed avendo  come dote integrità morale e cura del bene, la scelta da fare è unica ed è quella “virtuosa”.

Cambiando  contesto  storico,  e riferendoci  al periodo  della Seconda guerra mondiale, è possibile che per salvare la vita di migliaia di persone bisogna aver agito in complicità con il male personificato in un regime?

Gertrude van Tijn ha salvato dal nazismo migliaia di ebrei, eppure è stata accusata da qualcuno  di collaborazionismo.

Gertrude Francisca Cohn nasce il 4 luglio  1891 a Braunschweig in Germania. A ventiquattro  anni è in Olanda ed è qui  che entra in contatto  con il movimento  sionista.

Nel 1919 sposa l’ingegnere Jan van Tijn e ritorneranno in Olanda solo alla fine del 1932, dopo aver vissuto in Svizzera, Messico e Sud Africa (dove nascerà il figlio della coppia).  Sempre nel 1932 visiterà per la prima volta la Palestina.

Nel 1933 Gertrude van Tijn inizia ad interessarsi per l’assistenza dei  rifugiati  ebrei: diventa rappresentante del Join Distribution Committee in Olanda e membro  di un comitato  consultivo  della Lega della Commissione delle Nazioni per i  Rifugiati.

Nel 1939 è tra le organizzatrici del  viaggio  della nave Dora che consentì ad un certo  numero  di  ebrei  di  raggiungere la Palestina partendo dal porto  di  Amsterdam.

L’episodio con il quale alcuni  vedono una complicità tra il regime nazista e Gertrude van Tijn riguarda il suo  viaggio a Lisbona nel maggio  del 1941: arrivò nella capitale del  Portogallo inviata dai  nazisti  per negoziare la partenza dall’Europa di migliaia di  ebrei  tedeschi ed olandesi. Nella sua posizione poteva salvare altri ebrei di  diversa nazionalità, oppure era una semplice pedina della volontà nazista?

È difficile stabilirlo, come del  resto è comprensibile a quale sollecitazione psicologica doveva essere sottoposta la donna per le sue scelte.

Bernard Wasserstein, storico  dell’Università di  Chicago,  ha scritto il libro “The Ambiguity of Virtue” cerca di  dare la sua interpretazione, basandosi  sulla critica storica, sul ruolo  dei consigli  ebraici istituiti  dai  nazisti e, in particolar modo, fornire al  lettore gli  strumenti per poter definire l’azione di  Gertrude van Tijn come eroica o solo come quella di una collaboratrice di  quella pazzia voluta da Hitler.

Gertrude van Tijn morirà a Portland (Oregon)  nel 1974

 

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