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“Voci censurate”: i dubbi dei soldati israeliani

Soldato israeliano  e civili  arabi  durante la Guerra dei  Sei Giorni (giugno 1967)

Soldato israeliano e civili arabi durante la Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967)

 

Sono trascorsi  ormai  quarantotto  anni  da quel lontano  giugno  del 1967 quando la coalizione formata da Egitto, Siria e Giordania attaccò Israele.

La storia è quella della  vittoria di Israele e della conseguente conquista della penisola del Sinai, della Cisgiordania e della Striscia di  Gaza.

I soldati di  allora,  come è facile immaginare,  furono  accolti in patria come eroi.

Non si parlò mai  di loro e dei  traumi  che, come in ogni  guerra, ogni  soldato  porta con sè.

A sollevare questo  velo  furono Avraham Shapira e Amos Oz i quali, viaggiando  per i  kibbutz e intervistando i militari in congedo, scoprirono come molti  di  essi provavano dubbi e ansia per il modo  in cui venivano  trattati i civili  arabi.

Il film documentario  “Censored Voices” riporta per intero  il contenuto  di  quelle interviste che furono in parte censurate dai  vertici  dell’esercito israeliano.

Il film, presentato in anteprima al  Sundance Film Festival di  quest’anno, offre anche lo  spunto per dare voce ai militari israeliani che, riferendosi  all’attuale situazione di politica internazionale, esprimono una forte preoccupazione per il futuro della loro  nazione.

 

 

Texas Italia

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In una zona compresa tra le province di Avellino e Benevento (Nusco  e Santa Croce – vedi  cartina -), si  sta dando  battaglia affinché venga ritirato il permesso del Ministero dello  Sviluppo  Economico per le attività di indagini  geofisiche e perforazioni  esplorative per l’individuazione di  eventuali giacimenti  di  idrocarburi.

Ministero per lo  Sviluppo Economico

Fonte: Ministero per lo Sviluppo Economico (clicca per ingrandire)

Per la cronaca i siti in terraferma in tutta Italia, soggetti a questo tipo di permesso, sono 89 (elenco dal sito del ministero).

La risposta della comunità irpina non si  è fatta attendere e si è subito  concretizzata in un Comitato “No Petrolio” che ha inoltre visto  anche l’adesione dei sindaci  dei comuni  di  Casalbore, Montecalvo  ed Ariano  Irpino: un documento  congiunto delle Amministrazioni citate è stato inviato agli  Assessori all’Ambiente della Regione Campania e della Provincia di  Avellino.

In questo  documento  si  ribadisce che l’installazione di infrastrutture atte per le indagini estrattive, insieme a quella di una rete logistica, porterebbe all’eliminazione di  vincoli  ambientali (con danno per le attività turistiche e agroalimentari) e grave pericolo per la salute pubblica per le possibili  emissioni di polveri e composti  gassosi.

D’altronde,  altro  argomento  per la “non fattibilità” del progetto, si è anche detto  che la qualità degli idrocarburi  estratti da quei  siti non sarebbero di  qualità vanificando, quindi, ogni  aspetto  speculativo.

L’esempio della Basilicata è poi  quello che meglio  si presta a supportare la tesi  del Comitato  “No Petrolio”: questa regione, che fornisce il 7% del  fabbisogno  petrolifero  nazionale, non ha visto un ritorno  economico dovuto  ai proventi dell’attività estrattiva: al contrario, si  evidenzia, problemi  di inquinamento da idrocarburi delle falde acquifere, con il risultato  dell’abbandono dei  terreni  agricoli, è un mancata creazione di posti  di  lavoro in quanto  il personale specializzato  viene reclutato  al di  fuori dei  confini  regionali.

Domani, martedì 22 luglio, a Napoli, presso  la Commissione che dovrà valutare l’impatto  ambientale del pozzo  esplorativo  “Gesualdo 1”, sono  stati  convocati iin audizione i  sindaci  dei  comuni interessati al progetto  di  estrazione petrolifera, i rappresentanti dei  comitati  che si oppongono  a tale progetto e quelli della Italmin Exploration.

 

Gertrude van Tijn: l’ambiguità della virtù

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Esiste  un confine tra complicità con il male e la virtù con cui si vuole combattere lo stesso male?

In una situazione di normalità, ed avendo  come dote integrità morale e cura del bene, la scelta da fare è unica ed è quella “virtuosa”.

Cambiando  contesto  storico,  e riferendoci  al periodo  della Seconda guerra mondiale, è possibile che per salvare la vita di migliaia di persone bisogna aver agito in complicità con il male personificato in un regime?

Gertrude van Tijn ha salvato dal nazismo migliaia di ebrei, eppure è stata accusata da qualcuno  di collaborazionismo.

Gertrude Francisca Cohn nasce il 4 luglio  1891 a Braunschweig in Germania. A ventiquattro  anni è in Olanda ed è qui  che entra in contatto  con il movimento  sionista.

Nel 1919 sposa l’ingegnere Jan van Tijn e ritorneranno in Olanda solo alla fine del 1932, dopo aver vissuto in Svizzera, Messico e Sud Africa (dove nascerà il figlio della coppia).  Sempre nel 1932 visiterà per la prima volta la Palestina.

Nel 1933 Gertrude van Tijn inizia ad interessarsi per l’assistenza dei  rifugiati  ebrei: diventa rappresentante del Join Distribution Committee in Olanda e membro  di un comitato  consultivo  della Lega della Commissione delle Nazioni per i  Rifugiati.

Nel 1939 è tra le organizzatrici del  viaggio  della nave Dora che consentì ad un certo  numero  di  ebrei  di  raggiungere la Palestina partendo dal porto  di  Amsterdam.

L’episodio con il quale alcuni  vedono una complicità tra il regime nazista e Gertrude van Tijn riguarda il suo  viaggio a Lisbona nel maggio  del 1941: arrivò nella capitale del  Portogallo inviata dai  nazisti  per negoziare la partenza dall’Europa di migliaia di  ebrei  tedeschi ed olandesi. Nella sua posizione poteva salvare altri ebrei di  diversa nazionalità, oppure era una semplice pedina della volontà nazista?

È difficile stabilirlo, come del  resto è comprensibile a quale sollecitazione psicologica doveva essere sottoposta la donna per le sue scelte.

Bernard Wasserstein, storico  dell’Università di  Chicago,  ha scritto il libro “The Ambiguity of Virtue” cerca di  dare la sua interpretazione, basandosi  sulla critica storica, sul ruolo  dei consigli  ebraici istituiti  dai  nazisti e, in particolar modo, fornire al  lettore gli  strumenti per poter definire l’azione di  Gertrude van Tijn come eroica o solo come quella di una collaboratrice di  quella pazzia voluta da Hitler.

Gertrude van Tijn morirà a Portland (Oregon)  nel 1974

 

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