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Un “Antico cervello” per un pterosauro

La ricostruzione di un paleoartist di una nuova specie di pterosauro, Allkaruen koi . Credit: Gabriel Lío

La ricostruzione di un paleoartist di una nuova specie di pterosauro, Allkaruen koi .
Credit: Gabriel Lío

 

Sebbene il fossile scoperto  recentemente in Groenlandia può vantare di  essere quello più antico rappresentante di una forma vivente, 3,7 miliardi  di  anni, si parla pur sempre di “vita elementare” in quanto si  tratta di uno  stromatolite, cioè di una struttura formata da sedimenti prodotti  da micro-organismi.

Ed è per questo  che, forse, la scoperta di un nuovo  fossile,  questa volta di una nuova specie di  pterosauro, accende molto più la fantasia che i  vetusti stromatoliti.

Questo  rettile volante, o per meglio quello  che ne resta e cioè il fossile di una scatola cranica, è stato  ritrovato in Argentina (provincia centrale di  Chubut – Patagonia). La sua età viene fatta risalire in un arco  di  tempo stimato  tra i 199 milioni di  anni  fa e i 175 milioni di  anni (periodo  Giurassico).

I paleontologi  che hanno  scoperto il fossile, hanno  dato all’esemplare il nome di Alkaruen Koi che, nella lingua indigena Tehuelche parlata in Patagonia, significa “Antico  cervello”.

La particolarità della scoperta è appunto in quella di  aver ritrovato il fossile di una scatola cranica intatta. Ciò ha permesso, attraverso scansioni  tomografiche, di  ricostruire virtualmente l’interno del  cranio e, dopo  un confronto con altri  fossili  di pterosauri collocarlo nella giusta posizione dell’albero  genealogico della specie.

 

 

 

Uno tsunami del passato

 

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Animazione degli tsunami creati dal terremoto sottomarino del 2004 nel sud-est asiatico.

 

Di  tutti gli  scenari di  catastrofi  naturali forse nell’immaginario quello  che colpisce di più è il fenomeno  dello  tsunami.

La memoria va quindi  a quello che accadde nel 26 dicembre del 2004 nell’Oceano  Indiano: uno  tsunami causato da un terremoto  con una magnitudo pari  a 9,3 (secondo  solo  a quello verificatosi in Cile il 22 maggio  del 1960 con magnitudo pari  a 9,5) causò centinaia di  migliaia di  vittime.

L’altezza delle onde arrivò fino  a 27 metri, per confronto un palazzo  di  sei piani  è alto all’incirca venti metri.

Dodici  anni  fa la notizia di  quello  che successe in quella fascia del nostro pianeta fece il giro  del mondo in pochi  secondi, grazie soprattutto  ai  social – media.

Un evento simile,  altrettanto  tragico se non più, avvenne nel 6.200 a.C. nel  Mare del  Nord ed, ovviamente, non essendoci  allora nessun mezzo  di  comunicazione globale, dobbiamo  affidarci agli  studi  degli  archeologi, paleontologi   e geologi per conoscere l’entità di  quel fenomeno.

Tralasciando  le analisi specialistiche,  si  sa che lo  tsunami  ebbe come conseguenza il crollo  di 290 chilometri della piattaforma continentale nei  pressi della Norvegia.

Gli  abitanti  dei  villaggi  mesolitici che vivevano vicino  la mare furono sommersi  all’istante dalle onde dello  tsunami con altezza analoga a quella dell’Oceano  Indiano del 2004.

Si può ipotizzare che anche allora le vittime furono  tante ma sempre in rapporto  alla densità demografica di  quell’epoca.

Può accadere  che fenomeni  del  genere si  verifichino ancora?

Gli  scienziati  rassicurano  che ciò è statisticamente poco  probabile.

Ma non impossibile.

Un super-batterio alle Olimpiadi?

Immagine satellitare della Baia di Guanabara

Immagine satellitare della Baia di Guanabara

 

Tra un mese si  apriranno i Giochi  della XXXI Olimpiade in Brasile e la preoccupazione per la salute degli  atleti ospitati  si  apre di un nuovo  capitolo.

Infatti, dopo l’allarme per il virus Zika, a guastare il sonno  degli organizzatori è la scoperta di un super-batterio nelle acque della baia di di Guanabara (stato di  Rio de Janeiro) dove si  svolgeranno  le regate olimpiche.

Questi  super-batteri, quindi  resistenti  ai  farmaci, sono dovuti  alle acque reflue provenienti da diversi  ospedali locali riversate poi nelle acque costiere denunciando, tra l’altro, l’inadeguatezza dei depuratori.

Da parte loro  gli  amministratori  della città di  Rio de Janeiro  si  difendono  dicendo che il cinquanta per cento delle acque reflue sono trattate (nel 2009 lo  erano solo per l’11%) minimizzando  i  rischi  per le infezioni  a cui  possono incorrere gli  atleti.

In ogni  caso le autorità olimpiche internazionali non hanno  avanzato  nessuna proposta di  spostare le regate in acque più salubri.

 

Afghan Geniza

 National Library of Israel: Afghan Geniza (frammento)

National Library of Israel: Afghan Geniza (frammento)

Nel 2011 la rete televisiva israeliana Channel 2 riferì di una particolare scoperta avvenuta, in maniera fortuita, nella provincia afgana di Samangan: si  trattava del  ritrovamento in una grotta di migliaia di  frammenti di  manoscritti in lingua ebraica vecchi  all’incirca di  mille anni.

A questo  corpus di  documenti  venne dato il nome di Afghan Geniza (Genizah indica in ebraico la parola ripostiglio).

Molti  di  questi  frammenti  vennero  venduti al  mercato  clandestino dei  trafficanti  di reperti  archeologici. Solo 29 di  essi, nel 2013, vennero acquistati dalla National  Library of Israel.

I frammenti rappresentano  quello  che erano  documenti riguardanti atti legali e di  compra vendita, ma anche frammenti  di poesia persiana e lettere personali.

Tra di  essi, quello che ha rivestito un maggior interesse storico, è un commento al  Libro  di  Isaia scritto nel 10° secolo  dal rabbino  Saadiah ben Yoseph Gaon  che fu anche  il primo  ebreo a scrivere in lingua araba.

Afghan Geniza servirà ad una maggiore comprensione della vita di una comunità ebrea pienamente integrata in una società mussulmana.  

 

E’ la tomba di Aristotele?

Copia romana in Palazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo

Copia romana in Palazzo Altemps del busto di Aristotele di Lisippo

Per l’archeologo greco Konstantinos Sismanidis la tomba del filosofo  Aristotele si  troverebbe a Stagira (l’odierna Olympiada, nella penisola Calcidica) che fu, per l’appunto, la sua città natale.

La tomba, secondo  quanto  dice Sismanidis, sarebbe  un piccolo  edificio con pavimenti  ed altare in marmo. L’edificio è contiguo con una grande struttura circolare che avrebbe avuto  la funzione di luogo  di  ritrovo per gli  abitanti.

La storia dice che Aristotele sia morto sull’isola di Eubea nel 322 a.C., ma Sismanidis afferma che  Claudio  Tolomeo (85/90 d.C. – 165/168 d.C.) in un suo  documento dice che le ceneri  di  Aristotele furono portate a Stagira.

Ma la maggior parte degli  archeologi non è convinta del affermazione del  loro  collega, infatti, a confutare tale tesi, nella tomba di Stagira (ritenuta tale dall’autore della scoperta) non ci  sono  resti umani, tanto  meno  iscrizioni  che citano il grande filosofo  greco.

 

 

Filtri d’amore e maledizioni nei papiri di Ossirinco

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Per – Medjed  – meglio conosciuta come  Ossirinco, nome  datole dopo  la conquista dell’Egitto  da parte dell’esercito  di  Alessandro  Magno – fu un autentica miniera di papiri che, più di un secolo  fa, diede fama a due archeologi  dell’Università di  Oxford: Bernard Grenfell e Arthur Hunt.

I papiri, in gran parte documenti pubblici e privati  risalenti al periodo greco –romano, si conservarono  nel  tempo  grazie alle condizioni  climatiche ed ambientali della zona interessata dagli  scavi.

Come si  è detto i testi della maggior parte dei  papiri  riguardano atti privati  e pubblici, sennonché, grazie alla traduzione del  ricercatore italiano Franco Maltomini (Università degli  Studi  di  Udine, si è arrivati  alla scoperta di  due testi contenenti  “incantesimi d’amore” e sortilegi per sottomettere un individuo  ai  propri  voleri.

I due testi, risalenti a 1.700 anni  fa e di  cui  sono  sconosciuti  gli  autori, non indicano le persone oggetto dell’incantesimo in quanto, come se fosse un modulo da redigere, hanno lo spazio  per inserire il nome del  destinatario del  sortilegio.

Sul retro  di uno  dei due papiri, il più malevolo  per il contenuto, è stato  decifrato la “ricetta” che, utilizzando escrementi  di  animali, avrebbero procurato alla vittima dolori  di  mal di  testa e, persino, malattie come la lebbra.

Oggi  ci  sono i social-network a veicolare ogni  genere di maledizione ma, come allora, l’autore si  nasconde, magari  dietro ad un nickname.

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La paurosa tradizione degli “Unni bianchi”

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Se a guardare l’immagine in alto  vi viene in mente di  associarla alle spoglie di un extraterrestre fuggito  dalla famigerata “Area 51”, sappiate che quei poveri  resti  sono  quelli di un uomo vissuto  in un periodo  compreso  tra il 940 ed il 1308 d.C.

Inoltre, a fugare ogni ipotesi  fantascientifica, lo scheletro non è stato  rinvenuto nel  Nevada (sede dell’Area 51) ma in un sito  chiamato “El Cementerio” a nord-est dello  stato  di  Sonora in Messico.

La scoperta risale all’anno 1999, e la caratteristica che risulta subito  evidente, cioè la deformazione del cranio, è stata osservata in altri  reperti scoperti in Afghanistan.

Gli “Unni bianchi”, così veniva chiamata una tribù di nomadi iraniani  e la cui  denominazione corretta è Eftaliti,    si stabilirono in Battriana  (nord dell’Afghanistan). Tra le loro  tradizioni  vi  era quella  di  fasciare strettamente il cranio  dei neonati  al  fine di  farlo  sviluppare in altezza.

A questa consuetudine se ne accompagnava un’altra non meno terribile: arrivati  all’età dell’adolescenza ai  maschi  venivano  praticate profonde incisioni sul volto.

Lo scopo di  questi interventi era uno  solo: rendere temibile alla vista dei nemici  l’apparizione di uomini con la testa a forma di  cono  ed il viso pieno  di  cicatrici.

Forse anche Alien davanti  a tale vista sarebbe fuggito.

Simboli e tatuaggi su di un’antica mummia egizia

I tatuaggi sulla mummia scoperta a Deir el-Medina

I tatuaggi sulla mummia scoperta a Deir el-Medina

Deir el-Medina è un sito  archeologico posto  sulla riva occidentale del Nilo.

Qui, in epoca risalente tra il 1550 a.C. ed il 1080 a.C., sorgeva un villaggio che ospitava soprattutto la manovalanza utilizzata per la costruzione delle piramidi  della Valle dei  Re.

È da notare che in questo periodo, precisamente intorno  al 1250 a.C. quindi  riferibile alla XVIII dinastia, compare per la prima volta nelle tombe il Libro  dei morti riportante formule magiche volte ad assicurare il transito  nell’Aldilà.

Ed è proprio una recente scoperta a Deir el-Medina che ci  riporta alla magia dell’antico  Egitto. Questa volta non si  tratta di iscrizioni sulle pareti o  sui  sarcofaghi, ma di  simboli  tatuati sul corpo  di una mummia di  sesso  femminile.

I  simboli  rappresentano fiori  di loto, mucche ed occhi  divini: le immagini  non sono  disegni  astratti ma, per la loro riconoscibilità, sembrano essere legati ad uno  status religioso o  a pratiche rituali.

Infatti, dopo  attente analisi  sulla mummia, si è  giunti  alla conclusione che i  tatuaggi siano  stati  eseguiti  molto prima del processo  di mummificazione.

Per alcuni  di  essi  si  sta ancora studiando  per dare loro un significato, per altri è invece certa l’associazione con  la dea Hathor (mucche con collane ornamentali)  e, dove i tatuaggi  raffigurano  dei  serpenti, con altre divinità femminili egiziane.

Soprattutto i simboli  tatuati sulla gola della donna rappresentano  simboli  di protezione di un potere richiamato  attraverso la recitazione di  formule magiche o canti.

In ogni  caso il ritrovamento  di  simboli  tatuati – il primo del loro genere trovato  su  di una mummia egiziana – portano  a nuove conoscenze sul significato simbolo  del  tatuaggio nella cultura antica egiziana.

Zampe di lucertole per le pitture rupestri di Wadi Sura II?

Wadi Sura II (grotta delle Bestie) - pitture rupestri autore dell'immagine: Clemens Schmillen

Wadi Sura II (Grotta delle Bestie) : pitture rupestri.
Autore dell’immagine: Clemens Schmillen

Wadi Sura II è un’enorme grotta naturale posta sull’altopiano  del Gilf Kebir, nella parte egiziana del  deserto libico.

La particolarità di  questa grotta, scoperta dall’archeologo  Massimo Foggini nel 2002, è quella di  avere le pareti ricoperte da pitture rupestri risalenti  al periodo  del  Neolitico quando, ottomila anni  fa,   il clima del  Sahara era ancora  umido.

Le pitture rupestri (all’incirca cinquemila) rappresentano animali e centinaia di  mani  umane, con stencil di quelle che potrebbero  essere zampe di lucertola e non, come si  era ipotizzato in precedenza, mani  di  bambini.

Ad arrivare a questa conclusione è stata la ricercatrice francese Emmanuelle Honorè: per lei  le pitture in esame sono  troppo piccole e sottili  per essere quelle di un bambino. Per avere conferma alla sua tesi, ha chiesto ed ottenuto l’aiuto della Lille University Hospital  (Francia del nord) che ha fornito le misurazioni delle mani  di 25 bambini prematuri  e di 36 bambini nati normalmente, naturalmente vi è stato il consenso  dei  genitori che hanno accettato  con entusiasmo di  contribuire ad uno studio scientifico.

I risultati sono  stati positivi, nel  senso  che le pitture non rappresentavano  mani  di  bambini. A questo punto  la domanda posta era quella di  scoprire qual era il oggetto utilizzato  per gli  stencil.

L’analogia con altre pitture rupestri scoperte in altri siti come, ad esempio, quello della Cueva de los Manos in Argentina,  in cui  zampe d’animale fungevano  da modelli, ha portato  alla stessa conclusione per quanto  riguarda Wadi Sura II.

Rimane ancora da chiarire  lo scopo per il quale   gli  antichi  popoli  abitanti il Sahara abbiano dipinto le pareti di Wadi  Sura II e quelle di  Wadi  Sura I posto  a dieci  chilometri più ad est: è probabile che il mondo  mitologico  raffigurato sia in diretta connessione con i riti ancestrali  di  quella civiltà.

 

 

 

I vichinghi alla scoperta dell’America

Modello di nave vichinga

Modello di nave vichinga

 

Quante sono le città che si  attribuiscono l’onore di  aver dato i natali  a Cristoforo  Colombo?

L’ultima, in ordine di  tempo, è una piccola cittadina della riviera di  ponente di  Genova: Cogoleto.

Qui, dopo accurate ricerche storiche, gli  studiosi locali sono  arrivati  alla conclusione che il grande navigatore doveva essere per forza nato lì (peccato  che a Cogoleto non vi  sia neanche uno  straccio  di museo dedicato  al loro  illustre, e presunto, concittadino).

Dunque, se dove è nato Cristoforo  Colombo è argomento di  dibattito tra studiosi votati a svelarne il (pseudo) mistero, possiamo  essere certi  che Lui sia l’unico ad aver scoperto l’America (in senso  geografico) quel  fatidico  giorno  del 12 ottobre del 1492.

Anche questo, però, è messo in discussione dal  fatto che, ben  prima di  Cristoforo  Colombo, furono  i vichinghi a raggiungere le coste del  continente americano.

Nel 1960, sulla punta settentrionale di  Terranova in Canada, l’esploratore norvegese  Helge Ingstad e sua moglie, l’archeologa Anne Stine Ingstand, scoprirono i resti  di un villaggio  vichingo risalente all’anno Mille.

Anse aux Meadows, è questo il nome del sito  archeologico, è dal 1978 Patrimonio dell’umanità dell’Unesco.

Il  sito di  Anse aux Meadows fu però un insediamento provvisorio che ebbe solo pochi  anni  di vita: altri  indizi che stabilissero la presenza dei  vichinghi in America non si  ebbero, almeno  fino  ai  giorni  nostri.

Infatti, l’archeologa americana Sarah H.Parcak, combinando le più avanza tecnologie satellitari con la lettura delle saghe medievali nordiche, è riuscita ad individuare un secondo  sito vichingo  posto  a circa 300 miglia più a sud rispetto a Anse aux Meadows: cioè  a Point Rosee.

Questo nuovo  sito, secondo  le parole di Sarah H. Parcak, potrebbe risolvere molti  quesiti sul fatto  che furono i vichinghi i primi  europei ad esplorare il Nuovo Mondo.

C’è da considerare, però, che i  vichinghi  non hanno  lasciato  dietro  di  se resti di  tale entità da ricostruirne per certo  la loro  storia in America.

È sicuro, però, che le ricerche archeologiche andranno avanti e, quindi,  sono ipotizzabili nuove scoperte sulla vita di  questi intrepidi  navigatori  arrivati dalle lontane  terre  del nord Europa.  

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