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13 aprile 2029 – ore 22.21: incontro con MN4

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13 aprile 2029 – ore 22.21:  incontro  con MN4.

Non è un nome in codice  di una spia, ma MN4 è la designazione di un asteroide, meglio  conosciuto  come Apophis . 

Nel dicembre 2004 l’asteroide aveva reso il sonno  di  alcuni  astronomi piuttosto agitato: infatti, dopo osservazioni    e calcoli  matematici si  era arrivati  alla conclusione che il 13 aprile 2029 Apophis aveva all’incirca il 3 per cento  di possibilità di impattare con la Terra ad una velocità di circa 45.000 kmh.

Non sarebbe una cosa da poco  visto  che questo  sasso  cosmico ha un diametro  di  trecento  metri che svilupperebbe, in caso  di impatto un energia pari  a 65.000 volte di  quella prodotta dalla bomba atomica che ha distrutto  Hiroshima.

Per non  parlare poi  di  uno tsunami  che farebbe impallidire quelli  fno  ad adesso  visti  al cinema nei  catastrophic – movie.

Niente paura, perché nuovi  calcoli matematici  effettuati nel 2006, hanno  spostato il tête-a –tête con Apophis ad una data posteriore: il 13 aprile 2036, con una valutazione sulla pari al 4° grado  della Scala Torino (incontro  ravvicinato con l’1 per cento  di probabilità di  causare una devastazione regionale).

Certo,  mancano  ancora diciotto  anni!

La verità, per tranquillizzare un po’  tutti (anche i  complottisti) è che gli  scienziati  hanno ridotto a (quasi) zero il pericolo  d’impatto.

Comunque, ritornando  alla data del 13 aprile 2029, Apophis sfiorerà la Terra ad una quota di 30.000 chilometri, al di  sotto, quindi, dei  satelliti  geostazionari. Avrà una magnitudo  apparente pari a tre volte meno  luminoso  della stella polare.

In Europa il suo  tragitto  si  compirà attraversando la costellazione del  Cancro ad una velocità pari ai 40 gradi  all’ora.

Se abbiamo  qualche interesse ad approfondire l’argomento sul rischio  asteroidi, la Regione Piemonte ha pubblicato  negli  anni passati un libro  intitolato, appunto, Il rischio asteroidi.

Si può ricevere la pubblicazione gratuitamente scaricando l’apposito  modulo da questo link.

 


In ricordo  di  Danilo Mainardi 

 


 

 

Le sepolture in anfora nell’Antico Egitto

Resti di un bambino sepolto in un vaso. Cimitero di AdaÏma, Egitto (5550 – 2700 a.C.). Foto: Crubezy & Midant  – Reynes / IFAO

 

Gli  archeologi Ronika Power della University of Cambridge, ed il suo  collega Yann Tristant della Macquarie University, hanno  un ipotesi  molto plausibile riguardante le sepolture di neonati, ma anche di  adulti, in anfore.

Si è sempre pensato  che questo  tipo  di  sepoltura erano un ripiego per le  famiglie  più povere le quali, evidentemente, non potevano permettersi  una tomba per i propri  cari.

L’ipotesi  dei  due archeologi  è quella di non trovarsi  di  fronte ad una necessità dovuta alla povertà ma,  anzi, ad un vero  è proprio culto  del  defunto riguardante la sua rinascita.

Un’anfora, in effetti, è di  quanto più simile possa essere interpretato  come un grembo  materno. In questo  caso, raccogliendo in essa le spoglie del defunto, il suppellettile diventa l’utero (o  anche l’uovo) da cui il trapassato  rinascerà nell’aldilà.

I due studiosi rimangono  comunque cauti su  questa loro  idea, lasciandone la conferma ad ulteriori  approfondimenti sul significato  simbolico di  questa particolare modalità di  sepoltura.

 

Nello spazio, 466 milioni di anni fa

 

Trentanove anni luce, cioè la distanza che ci  separa dai mondi del  sistema Trappist – 1,  sono  davvero una bella distanza da percorrere, quindi  dobbiamo  aspettare che uno Stargate possa colmarla senza che intere generazioni di  esseri umani  vadano  perdute nel  viaggio.

 

In viaggio verso  gli  esopianeti di  Trappist – 1 (dal sito italiano  della rivista Focus)

 

Ben altra cosa è il viaggio  temporale che, all’interno  del nostro  sistema solare,  ci porta indietro a 466 milioni di  anni fa.

Allora, in quella che la fantascienza di una volta definiva spazi  siderali, avvenne un cataclisma di enorme dimensione: la collisione di  due asteroidi, uno dalla dimensione pari  allo stato  del  Connecticut,  diede origine a migliaia di  frammenti, alcuni  dei  quali  caddero  sulla Terra quando  era presente un solo ed unico  supercontinente: la Gondwana.

Ancora oggi, anche se il flusso di  meteoriti di  quel gigantesco  scontro va ad esaurirsi, alcuni frammenti  cadono sulla superficie della Terra.

Tra le orbite di Marte e Giove è posizionata la cosiddetta Fascia principale: la regione del  nostro  sistema solare occupata da asteroidi  e pianeti minori  (Vesta è l’oggetto più luminoso  e secondo  per dimensione a Cerere): è un ambiente decisamente turbolento considerando  che, in tempi  misurati in scala di milioni  di anni, avvengono collisioni da cui  si originano nuove famiglie di  asteroidi.

Da queste collisioni si  formano  le meteoriti  che, sulla Terra, portò all’evento  che con ogni  probabilità causò l’estinzione dei  dinosauri, mentre sulla Luna l’impatto di uno  di  questi  giganteschi  frammenti formò il cratere Tycho.

Ritornando alla collisione di quasi  mezzo miliardo  di  anni  fa,  l’analisi chimica dei  frammenti ha portato alla conclusione che quel  tipo  di  rocce appartengo  alle rarissime acondriti rispetto  alle condriti che rappresentano  l’86 per cento  dei  frammenti  di  epoca più recente.

Lo studio  di  ciò che è avvenuto in quell’epoca lontanissima, porterà alla conoscenza di  alcuni  aspetti  sull’evoluzione del nostro  sistema solare in un periodo  in cui si pensava che esso fosse, per così dire, stabile.

 

Crocker Land: l’isola che non c’è

Localizzazione della Terra di Crocker data da Peary

Localizzazione della Terra di Crocker data da Robert  Peary

 

Un’altra terra misteriosa che al pari  di Atlantide e, fino  a prova contraria, non esiste: Crocker Land.

A descrivere il mito questa volta non è il filosofo  greco  Platone che, nel  Timeo, parla appunto della  fine di  Atlantide avvenuta  in una notte, ma di un esploratore americano: Robert Edwin Peary .

Davanti a quella foce che viene chiamata, come dite, Colonne d’Eracle, c’era un’isola. Tale isola, poi, era più grande della Libia e dell’Asia messe insieme e a coloro che procedevano da essa si offriva un passaggio alle altre isole, e dalle isole a tutto il continente che stava dalla parte opposta, intorno a quello che è veramente mare.

[…]

 

 

In tempi successivi, però essendosi verificati terribili terremoti e diluvi, nel corso di un giorno e di una notte, tutto il complesso dei vostri guerrieri di colpo sprofondò sotto terra, e l’Isola di Atlantide, allo stesso modo sommersa dal mare, scomparve.(Platone, Timeo)

Nel 1906, di  ritorno dall’ennesimo  fallimento per raggiungere il Polo Nord, Peary  scrisse nel  suo  diario  di  bordo  di aver avvistato una gigantesca isola nell’artico  canadese, a nord di  Ellesmere.

L’esploratore diede a questa fantomatica isola  il nome di  Crocker Land, in onore del  banchiere George Crocker  finanziatore della sua impresa, descrivendone il paesaggio  formato  da valli  e montagne.

E’ ovvio  che Crocker Land è un invenzione, soprattutto  per il fatto che in epoca moderna, quindi  con la tecnologia attuale, l’isola non  passerebbe inosservata, tanto più che già nel 1938 Isaac Schlossbach, pilota ed esploratore, aveva sorvolato  la regione non trovando nulla.

Ma allora, ci si  chiede, perché Peary abbia inscenato  quello  che alla fine è solo una menzogna?

In passato, i più malevoli, hanno  detto  che l’intento  di  Peary  era quello di avere  ancora una volta  il sostegno finanziario  di  George Crocker in vista di una successiva spedizione. Cosa discutibile perché nel 1906 il banchiere aveva dirottato la gran parte delle sue risorse per la ricostruzione di San Francisco dopo il terremoto verificatosi  nello  stesso  anno.

Un’altra spiegazione, forse quella più logica, è  quella che Peary  sia stato  vittima di un particolare tipo di miraggio denominato  Fata Morgana.

In ogni  caso, all’epoca di  Peary, era ancora vivo il desiderio  di  scoprire nuove frontiere del nostro pianeta: allora rimanevano  ancora inesplorate alcune zone interne dell’Amazzonia e dell’Himalaya, cos’era di più stimolante se non quello  di  andare alla ricerca di una nuova terra nei pressi  del Polo Nord?

Il  2 luglio 1913,dal Brooklyn Navy Yard, salpò il piroscafo Diana con a bordo  la spedizione composta da diversi  ricercatori  per ogni  specifico interesse scientifico,  finanziata dalla American Museum of Natural History, insieme alla   American Geographical Society, incluse nel suo  programma di  ricerca anche quello di avvalorare la “scoperta” di Peary.

Crocker Land Expedition: la storia  

 

Nuova ipotesi sull’eruzione dell’isola di Thera

Rappresentazione dell'eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

Rappresentazione dell’eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

 

L’isola di  Thera,  oggi chiamata   Santorini, nel 1650 a.C. subì evento  catastrofico  a seguito  di una   eruzione  vulcanica e dello  tsunami conseguente ad esso.

Tale evento, se pur non quello principale che causò la caduta della civiltà minoica, destabilizzò in maniera devastante la vita in quell’area.

Alcuni  miti greci prendono  spunto da quell’evento: Platone narra in  Crizia  il mito  di  Atlantide e la fine di  questa civiltà a seguito dell’inabissamento  dell’isola su  cui  essa si  era sviluppata.

Crizia – pdf

Ritornando  all’eruzione di  Thera, si è sempre detto  che lo tsunami si  formò per il collasso  del vulcano da cu si originò una caldera.

Oggi, nuove ricerche, attribuiscono la formazione di  questa gigantesca onda, non tanto  al collasso  del  vulcano, quanto  allo spostamento in mare di  enormi  quantità di  materiale piroclastico.

Gli  scienziati, dopo aver esaminato dati  sismici e vulcanici, insieme alla mappatura dettagliata del fondo  marino adiacente a Santorini, hano evidenziato  come la caldera non fosse collegata al mare: i flussi piroclastici, cioè correnti in rapido  movimento di materiale vulcanico che, scorrendo   lungo i  fianchi  del  vulcano  ad  una velocità di 70 km/h e con la temperatura di 400°C, una volta raggiunto il mare si  solidificano spostando  enormi  quantità di acqua con la conseguente formazione dello tsunami.

Gli  scienziati, a supporto  di  questa tesi, ricordano  che nel 1883 l’eruzione del  vulcano  Krakatoa (isola di Rakata, Indonesia) ha avuto  lo stesso meccanismo ipotizzato per Thera, solo  che, in quest’ultimo  caso, l’evento fu molto più distruttivo.

 

 

Antiche civiltà nei pressi del Mar Caspio

Particolare del sito scoperto nella zona del Mar Caspio Credit: Photo: Evgeniï Bogdanov

Particolare del sito scoperto nella zona del Mar Caspio
Credit: Photo: Evgeniï Bogdanov

 

Un complesso  formato  da strutture in pietra e risalente a 1.500 anni  fa, è stato  recentemente scoperto sulla riva orientale del Mar Caspio, nella penisola di Mangyshlak in Kazakistan.

Le strutture in pietra, molto probabilmente costruite da tribù nomadi,  hanno  diverse dimensioni tutte formate da lastre  inserite verticalmente nel  terreno. Alcune di  esse, per la disposizione, ricordano  le strutture di  Stonehenge ed hanno incise su  di  esse rappresentazioni  di  armi  ed animali.

Ma il ritrovamento più sensazionale è quello  di una sella in una delle strutture in pietra: essa è  in parte realizzata in argento con immagini  di  leoni, cinghiali  e cervi incisi  su  di  essa.

Per gli  archeologi  dell’Accademia Russa delle Scienze, che dal 2014 operano nel  sito, il possessore della sella era un individuo dotato  di  notevoli  privilegi  nella propria comunità. Questo perché, sempre incisi  nella sella, vi  sono  particolari simboli, chiamati tamgas  che ne denotano, appunto, la condizione di potere.

Insieme alla sella è stato  rinvenuto  anche uno scheletro, ma dalle analisi  di  laboratorio la datazione delle ossa riporta ad un’età molto  anteriore a quella del manufatto.

Si pensa, inoltre, che sia la sella che lo  scheletro possano  essere stati  deposti in quella particolare struttura dopo un rituale di inumazione.

 

 

 

I dinosauri invecchiano di venti milioni di anni

Filogenesi dei dinosauri basata su calcoli probabilistici - Credit: Biology Letters (2016).

Filogenesi dei dinosauri basata su calcoli probabilistici – Credit: Biology Letters (2016).

 

Attraverso una metodologia basata su  calcoli  probabilistici, un team  di  ricercatori  provenienti dalla Gran Bretagna e Stati Uniti hanno ipotizzato una retrodatazione, all’incirca di venti milioni  di anni, per l’evoluzione riguardante i  dinosauri.

Nel metodo  probabilistico  utilizzato i ricercatori hanno utilizzato i dati provenienti da circa 1.000 specie di  dinosauri, creando un albero  filogenetico (nella figura in alto) risalente a 250 milioni  di  anni  fa, cioè alla loro prima apparizione nella vita terrestre, prendendo  come punto  di  riferimento il Nyasasaurus il cui  fossile, ritenuto il più vecchio  finora scoperto, ha una datazione di 240 milioni di  anni.

Inoltre, sempre riferendosi a quest’albero  filogenetico, si  è stabilito che la linea evolutiva degli  uccelli si  sia diramata, da quella dei  sauri, in periodo  compreso  tra 165 e 172 milioni di  anni  addietro.

Se quanto  riportato  dalla ricerca sarà convalidata da ulteriori  studi, ciò vorrà significare che le  creature che in seguito  daranno  vita alle varie specie di  dinosauri, sono  riuscite in qualche modo  a sopravvivere alla prima grande estinzione e cioè quella del periodo Permo – Triassico.

Cochno stone: la pietra nascosta

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La “Cochno stone” recentemente disseppellita in Scozia. Credit: University of Glasgow

Nel 1887, nel Dunbartonshire Occidentale (Scozia), il reverendo ed archeologo James Harvey portò alla luce una pietra completamente piatta, dal  diametro  di  13 metri, con incise su  delle coppelle racchiuse in un vortice, datata intorno  al 3.000 a.C.

Nel 1965 la pietra venne danneggiata da vandali e dall’azione delle intemperie, questo  spinse gli  archeologi  a seppellirla di nuovo ai  fini  di proteggerla. Solo  recentemente è stata disseppellita per essere studiata con procedure e tecnologie moderne come, ad esempio, una riproduzione digitale tridimensionale della pietra.

In altre parti  del mondo  sono state scoperti reperti  simili, ma la pietra di Dubanrtonshire (chiamata anche stone Cochno) è quella che presenta il miglior esempio  di particolare arte rupestre di  cui lo  scopo è ancora un mistero.

Una prima ipotesi  fu quella dell’archeologo Ludovic Maclellan Mann che, nel 1937, pensò ad un collegamento  tra le incisioni e fenomeni  astronomici  come le eclissi: Mann pensò che le coppelle fossero una specie di  marcatura riportanti i movimenti del sole e della luna per predire le eclissi.

Il destino della Cochno stone è, però, quello  di  essere celata  agli occhi umani: infatti  è stata di nuovo  seppellita per preservarla aspettando i finanziamenti ai fini della costruzione di una struttura protettiva e di, un parco  archeologico che attirerebbe un discreto  numero di  turisti

 

 

 

I rotoli di En – Gedi

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Il rotolo di En _ Gedi Credit: Da Seales et al, Sci.. Adv. 2: e1601247 (2016). Distribuito sotto Creative Commons Attribution Non Commercial License 4.0 (CC BY-NC).

 

Nel 1970, nell’oasi  di  En – Gedi  (Israele), gli archeologi  trovarono una pergamena   risalente all’incirca  al 612 a.C.

In quel  sito, tra il 700 a.C. ed il 600 d.C., prosperava un’antica comunità ebraica, la fine di  essa è testimoniata dai  resti  dovuti  ad un grande incendio. Tra questi  resti una cassa contenente rotoli in pergamena ( o in pelle d’animale) carbonizzati.

I rotoli, data la loro condizione, non potevano  essere manipolati pena la loro  stessa disintegrazione.

La tecnologia ha però permesso  la lettura di uno di  questi  rotoli (i quali, similmente ai  “Rotoli  del  Mar Morto, prendono il nome di  “Rotoli  di En- Gedi) che, presubilmente, tratta parte del  Levitico nella Bibbia ebraica.

Dapprima si è utilizzata una scansione a raggi X micro – computerizzata (Micro – CT) per evidenziare un eventuale testo  scritto  al  suo interno. Quindi si è proceduti ad una scansione con risoluzione sempre più alta. Ciò, pur consentendo   di  rilevare strati  d’inchiostro, dava sempre come risultato un testo illeggibile.

A questo punto  si  è ricorso  ad una complessa analisi  digitale chiamata virtual unwrapping.

Nel  video  seguente le fasi  di utilizzo di  questa particolare tecnologia.

 

 

Il quarto libro dei Maya è autentico: il Codice Grolier

Un antico  libro  Maya: il Codice Parigi

Un antico libro Maya: il Codice Parigi

 

Il ritrovamento negli  Anni ‘60 di   un manoscritto in lingua maya, risalente al periodo  preispanico, sarebbe degno  di un racconto  basato  sulle gesta dell’intramontabile archeologo – eroe Indiana Jones.

Infatti, il manoscritto  venne trovato  da alcuni  tombaroli in una grotta dello  stato  messicano  dello  Chiapas. Nel 1965 venne acquistato dal  collezionista messicano Josué Sàenz e, nel 1971, esposto al  Grolier Club di  New York (da cui prese il nome di  Codice Grolier).

Il Codice Grolier, una volta accertata la sua autenticità, potrebbe essere il più antico manoscritto in lingua Maya dei  quattro oggi  conosciuti: oltre ad esso gli  altri codici  sono  quello il Codice di Dresda,  il Codice di  Madrid ed il Codice di  Parigi (prendono  ovviamente il nome dalla città che li  conserva).

A questo punto è bene ricordare che i Maya, pur non avendo prodotto  molti documenti  scritti, hanno utilizzato  come supporto per la scrittura materiale organico (cortecce di  vegetali) che nel tempo  venivano  deteriorate dal  clima umido  dell’America centrale, per non parlare della distruzione avvenuta per mano  dei cristiani  europei che vedevano  in questi  manoscritti opere eretiche.

Ritornando  al  Codice Grolier esso è composto  da dieci  pagine contenenti  geroglifici  Maya, raffigurazioni di  divinità e un calendario con gli  spostamenti  di Venere (pianeta importante nella cultura Maya per eventi  religiosi) che ricopre un arco  di  tempo  di 104 anni.

Si è detto in precedenza che il Codice Grolier, per la  rocambolesca vicenda riguardante la  vendita al  collezionista messicano, è stato  da molti  ritenuto per anni un falso.

A questo  ribadiscono coloro  che vedono nel  Codice Grolier un autentico documento  Maya, adducendo  al fatto  che analisi al  radiocarbonio confermano  che i testi  sono  stati  scritti  nel primo periodo  post – classico (900 – 1200 d.C.  – vedi  tabella fine articolo) e che le divinità raffigurate nelle immagini  non erano  ancora state scoperte al momento del  ritrovamento. Inoltre, un particolare pigmento presente sui  fogli  chiamato  “Maya blu” , è stato possibile sintetizzarlo in laboratorio solo dopo il 1980.

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