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Klondike? No, è 2011 UW – 158

Immagine dell'asteroide 2011 UW - 158

Immagine dell’asteroide 2011 UW – 158

 

La nuova “corsa dell’oro” si terrà nel profondo  cosmo,  dove alcuni  asteroidi di  diverse dimensioni  sono ricchi  di oro e di  altri  metalli pregiati: delle vere e proprie miniere viaggianti.

Come, ad esempio, 2011 UW-158 l’asteroide largo poco  più di  500 metri il cui  nucleo  sembra custodire la bellezza di novanta milioni  di tonnellate di platino per il valore corrispettivo  di 5.000 miliardi  di  euro.

Naturalmente estrarre metalli preziosi  nello  spazio  non è la stessa cosa che farlo  sulla Terra: non per questo l’idea spaventa alcuni  “visionari” (estremamente ricchi) come il co-fondatore di  Google Larry Page e il regista James Cameron.

I due, nel 2010, hanno fondato  la società Planetary Resources con lo scopo  di  lanciare satelliti progettati per estrarre i minerali preziosi dagli asteroidi.

Pura fantasia e spreco  di  denaro?

Eppure Google e film come Avatar ci  dicono  propri il contrario: fare investimenti  su  quello  che oggi  sono solo  idee domani, chissà, potrebbe essere il nuovo Klondike.

 

 

Lo spettacolo (immaginario) dell’Universo

L'elaborazione dell'esplosione di una Supernova vista dalla Terra

L’elaborazione dell’esplosione di una Supernova vista dalla Terra

 

Il video  che potete vedere in basso è stato  creato dall’agenzia spaziale russa Roscosmos.

È l’elaborazione del cielo  notturno  con la visione di  oggetti celesti che non sono  visibili ad occhio  nudo per la loro  distanza dalla Terra.

È uno spettacolo  affascinante e, allo stesso  tempo, ci  riconduce all’idea dell’Universo luogo  dell’infinito mistero.

Nel  video si può ammirare la Galassia di  Andromeda, la Nebulosa del  Granchio, l’ammasso  globulare di  Ercole, le Pleiadi e un Buco  Nero (fortunatamente molto  distante).

 

Più è vecchio e più c’è vita?

Rappresentazione artistica del  sistema solare Kepler-444

Rappresentazione artistica del sistema solare Kepler-444

 

È un giorno inimmaginabilmente molto lontano ma, allo stesso  tempo, porterà ad una tragedia ineludibile: lo “spegnimento” del nostro  Sole.

Per allora, come ogni buon film di  science fiction insegna, l’umanità avrà trovato  dimora su  altri pianeti  del  tutto  simili alla nostra Terra.

Fino  allora, godendo ancora dell’abbronzatura che il nostro astro ci regala ad ogni  estate, è buona cosa cercare nell’Universo queste “nuove case”.

La sonda Keplero dal 2009, anno  di  lancio da parte della NASA, ha egregiamente svolto il suo lavoro  di  ricerca di  esopianeti  nel  cosmo: sono 4.200 quelli  candidati ad ospitarci nel  futuro (sempre che non siano  già abitati  da altri inquilini di cui non si può conoscere il grado  di  tolleranza verso lo “straniero”).

L’ultima scoperta del Kepler Space Telescope è quello  di un sistema solare distante 117 anni  luce dalla Terra. Questo  sistema solare è composto  da cinque pianeti  rocciosi che ruotano  intorno  ad una stella chiamata Kepler-444 dell’età di 11,2 miliardi  di  anni e, quindi, vecchia più del  doppio  del Sole.

Va subito detto, però, che i  cinque pianeti orbitano intorno a Kepler-444 in un orbita che non permette loro  di  rientrare nella cosiddetta “Goldilococks zone”: cioè quella regione di  spazio attorno  ad una stella che, pur essendo calda, permette l’esistenza di oceani  e, possibilmente, di  vita.

Allora perché questo  sistema solare è importante per la ricerca di  vita aliena?

Questo  ragionamento si  basa sul  fatto che, parlando  dell’evoluzione della vita sulla terra, sono  occorsi  quattro miliardi di  anni, pianeti  ancora più antichi,  del tuto  simili  alla Terra, possono ospitare civiltà tecnologicamente evolute.

Per alcuni  scienziati, però, l’età di un pianeta non è paradigmatico alla presenza civiltà evolute: la nascita della vita da tantissimi  fattori di  cui l’antichità, o  meno, rappresenta solo una piccola parte delle possibilità.

Nuovi strumenti per scoprire la vita aliena

"Le sabbie di  Marte"

“Le sabbie di Marte”

 

Agli  strumenti  nati per indagare sulla possibilità  di  vita aliena in pianeti  extra solari, se n’ è aggiunto uno  nuovo,  da poco inaugurato in Cile.

Il Next – Generation Transit Survey  (NGTS) è stato progettato per cercare pianeti  che abbiano  da 2 a 8 volte il diametro  della Terra.

Il telescopio  rileverà il transito di un pianeta davanti  ad una stella: la luce che passerà nell’atmosfera del pianeta servirà per gli  scienziati a studiare la densità dell’atmosfera ed altri parametri del pianeta stesso, questo per ipotizzare se esiste la possibilità di  vita aliena.

Il progetto e la messa in opera del NGTS è dell’Università di Warwick (UK). Il sistema è composto da dodici  telescopi in sincronia tra loro e comandati  dal centro  dell’European Southern Observatory.

L’ESO è un ente transnazionale composto da 15 nazioni (  Italia compresa) che gestisce tre osservatori nel mondo tra cui  l’Osservatorio del Paranal sul Cerro Paranal (Atacama – Cile).

 

 

L’immagine 3D dell’Universo giovane

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L’immagine rappresenta la mappatura tridimensionale dell’Universo a tre miliardi  di  anni  dal  Big Bang  .

A ottenerla è stato il team guidato  dall’astronomo Khee – Gan Lee  dell’Istituto Max Planck  utilizzando i dati  raccolti dal WM Keck Observatory a Mauna Kea (Hawaii) e lo spettrografo Lris posto  sul telescopio  di  10 metri  di diametro Keck I.

La mappa, la quale rivela le prime fasi della formazione delle strutture cosmiche , è stata generata da impronte di  gas idrogeno presente  nello  spettro  di 24 galassie che facevano  da sfondo  al  settore osservato posto  alla distanza di  11 miliardi  di  anni luce (la densità del gas idrogeno è rappresentato  dalla colorazione blu nella foto).

L’enorme distanza riporta indietro nel  tempo quando, appunto, ,   l’Universo  aveva solo  3 miliardi  di  anni  di  vita (dal  Big Bang  sono  trascorsi  complessivamente 13,82 miliardi  di  anni), ed è la prima volta che strutture su  larga scala e così lontane sono state mappate.

Lo  studio non si limita unicamente alla realizzazione di un’immagine tridimensionale dello  spazio, ma vuole ampliare la  conoscenza sulla formazione ed evoluzione delle galassie.

Plutone: pianeta nano per definizione, oppure “pianeta” per passione?

 

 

"Lo  spazio  conosciuto"

“L’Universo conosciuto”

Sembra che nel 2006,  quando Plutone venne declassato  a “pianeta nano”, il fatto non andò giù a molti generando molte proteste affinché fosse ristabilito  il  suo  status di  pianeta.

Il declassamento avvenne in seguito ad osservazioni astronomiche risalenti anni  addietro  e cioè nel  1992: David Jewitt e J. Lulu, astronomi  dell’Università delle Hawaii, scoprirono un corpo  celeste subito  ribattezzato 1992 QB1.

La caratteristica principale di 1992 QB1 era di essere completamente ghiacciato e con le dimensioni  di un asteroide, la cui  orbita intorno al  Sole era pari ad una volta e mezzo quella di  Nettuno.

In seguito, oltre a 1992 QB1, furono trovati altri corpi  celesti dalle caratteristiche simili e tutti  dislocati in una regione del  sistema solare che si  estende oltre l’orbita di  Nettuno (e fino  a 50 UA dal  sole) e che nell’insieme costituisce quella conosciuta come Fascia di  Kuiper (Gerard Kuiper, nel 1951, ipotizzò l’esistenza di  questa fascia già all’epoca della formazione del  sistema solare).

Di  conseguenza anche per  Plutone, per la sua similitudine con gli  altri “pianetini” della Fascia di Kuiper, incominciò a profilarsi il declassamento.

Perché ciò accada bisogna aspettare il 2005, quando l’astronomo Mike Brown scoprì in quella zona del  sistema solare un pianeta dalle dimensioni maggiori  di Plutone: Eris.

A questo punto, dopo una risoluzione dell’assemblea generale dell’Unione Astronomica Internazionale (UAI) del 24 agosto 2006, Plutone venne riclassificato  come “pianeta nano” insieme a Eris, Cerere, Haumea e Makemake.

In questa risoluzione vi  erano delle linee guide per la differenziazione tra pianeti e pianeti nani.

Per cui un corpo  celeste per essere definito  come pianeta deve essere in regola con le seguenti  definizioni:

– Deve orbitare intorno al  sole

– Deve avere una massa sufficiente affinché la sua gravità possa vincere le forze di  corpo  rigido  e gli  permetta di  assumere una forma quasi  sferica

– E’ stato in grado di “liberare” la propria fascia orbitale da altri oggetti di dimensioni  confrontabili.

Ed è per l’appunto  a quest’ultima definizione che Plutone deve la sua retrocessione.

C’è, però, chi contesta questo fatto: Owen Gingerich, professore emerito di astronomia ad Harvard  e astronomo  emerito presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory, afferma che il termine “pianeta” è culturalmente cambiato  nel  corso dei  tempi  e che, quindi, le definizioni  stabilite dalla UAI sono, in un certo  senso, “temerarie” per cui Plutone, insieme a tanti altri  corpi  celesti che via via vengono  scoperti, anche al  di  fuori del nostro  sistema solare,  pur non avendo  i” requisiti” stabiliti dalla UAI, possono  avere il diritto  di  chiamarsi  pianeti.

Cosa ne penserà mai  Plutone di  questa diatriba tutta terrestre?

Sistemi planetari creati per gioco

Schermata di  Super Planet Crash

Schermata di Super Planet Crash

 

Se siamo abituati a pensare agli  astrofisici  come persone con la testa “tra le stelle” e poco inclini a rilassarsi  con un videogame, ebbene sbagliamo.

È bastato che l’astronomo italiano Stefano  Meschiari venisse l’idea per la creazione di un browser game finalizzato per soddisfare l’aspetto ludico  dei  suoi  colleghi.

Il nome del game non poteva  che essere  Super Planet Crash ma, nonostante il titolo  che richiama  tragedie interstellari, lo  scopo  del gioco  è quello  di  creare sistemi planetari partendo  da uno minimale (una stella ed un pianeta) ed aggiungendo  via via altri pianeti fino  ad un massimo  di  dodici.

Più il numero  dei pianeti  aumenta, e maggiore e la loro massa, più aumenta il punteggio. Se tale sistema resiste per 500 anni,  senza che impatti o altre disgrazie cosmiche intervengono a modificarne l’armonia, il punteggio  entrerà in una speciale classifica e il sistema condiviso  sui  social  network.

Sembra che Super Planet Crash abbia già conquistato l’interesse di migliaia di  astrofisici, ma anche di  semplice appassionati  ai  videogames,  fino ad arrivare alla creazione di  ben sette milioni  di sistemi  planetari.

L’universo  reale è infinitamente vasto,  quello  virtuale sembrerebbe volerlo imitare nella vastità.

Notizie dalla sonda Cassini – Huygens

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Dopo il pianeta Giove è Saturno ad essere quello  di  dimensioni  maggiore tra i  corpi  celesti  che compongono  il nostro  sistema solare.

È classificato  come “gigante gassoso” (insieme a Urano, Nettuno ed il già citato  Giove): la sua massa è pari  a 95 volte quello  della Terra e la sua composizione è data dal 95% di  idrogeno  e solo il 3% di  elio.

Pur essendo  stato osservato nei  suoi movimenti  dagli  astronomi  babilonesi, è con Galileo che, nel 1610, le osservazioni  si  fanno più peculiari ipotizzando anche la presenza delle strutture anellari intorno  ad esso.

Fu  quarantacinque anni  dopo,  quindi  nel 1655, che l’astronomo olandese Christiaan Huygens riuscì a definire la natura anulare degli  anelli  osservati  da Galileo (oltre alla scoperta del  satellite Titano).

Nel 1675 fu la volta di  Giandomenico  Cassini a dare notizia sulla natura degli  anelli  e sulla loro  suddivisione (o lacune), ed insieme a d esso  la scoperta di  altre quattro lune di  Saturno: Rea, Giapeto, Dione e Teti.

Oggi è una sonda con il nome dell’astronomo di origine italiana a fornire nuovi  dati  su  Saturno: la sonda Cassini della NASA, in orbita intorno  a saturno  dal 2004, suggerisce attraverso nuove analisi che la data degli  anelli  potrebbero  risalire a 4,4 miliardi  di  anni  fa. Questo smentirebbe le teorie più recenti che stimerebbero l’età degli anelli  a “soli” qualche centinaio  di  anni.

 

Cassini-Huygens

Enciclopedie on line

Cassini-Huygens Missione spaziale progettata per l’esplorazione di Saturno e della sua luna più grande (Titano), nata dall’impegno congiunto delle agenzie spaziali statunitense (NASA), europea (ESA) e italiana (ASI) e lanciata da Cape Canaveral (Florida) il 15 ottobre 1997 con un razzo Titan IV-B/Centaur

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Solo vent’anni per incontrare gli alieni

"Supernova" ©24Cinque

“Supernova” ©24Cinque

 

“ E’ altamente improbabile che siamo  soli nell’universo”.

Quante volte abbiamo  sentito  questa frase e quante volte l’abbiamo  condivisa: anche solo parlando in termini statistici, la probabilità che esistano  altre forme di  vita su  altri pianeti è molto  alta.

Se la stessa frase è poi stata detta a Washington, durante una tavola rotonda della NASA  (e quindi non in un club  di  ufologi), la risonanza che la stessa può avere è pari alla serietà di  chi l’ha pronunciata e cioè scienziati  e amministratori  appartenenti all’agenzia americana spaziale.

È probabile, però, che la dichiarazione possa lasciare qualche dubbio per quanto  riguarda i  tempi  di  attesa affinché ci  sia per lo meno una prova dell’esistenza di ET.

Ebbene, sempre secondo  quando  si  è detto  durante il convegno, per gli  scienziati  non bisogna aspettare molto: il limite di  tempo da loro  ipotizzato è di “soli” vent’anni.

Certo , rapportati  alla durata della nostra vita media, vent’anni sono sempre tanti, ma non sono un’enormità: questo  vuol  dire che un cinquantenne di oggi potrà avere la possibilità di  essere testimone di un simile evento.

Il convegno  è partito  dopo  le analisi  dei  rapporti  forniti dal  Kepler Space Telescope della NASA: l’osservazione del pianeta Kepler – 186F, è stato salutato come la “prima scoperta di un pianeta simile alla Terra in quella fascia orbitale intorno  ad una stella dove è possibile l’esistenza della vita”.

Per gli  scienziati è possibile che molti  altri pianeti, anche solo nella nostra galassia, abbiano le stesse caratteristiche di  Kepler – 186F.

Nel 2018 è previsto il lancio del  James Webb Space Telescope progettato per studiare la luce infrarossa e quindi rendere più facile l’individuazione di pianeti  extrasolari.

Bisogna solo  aspettare.

Le “isole magiche” di Titano

Le dimensioni  di  Titano  (in basso a sinistra) comparate con quelle della Terra e della Luna

Le dimensioni di Titano (in basso a sinistra) comparate con quelle della Terra e della Luna

 

Non è “l’isola che non c’è”, quanto piuttosto l’isola magica quella che gli  scienziati hanno chiamato per definire la loro  ultima scoperta effettuata su  Titano,  la luna più grande di  Saturno.

In pratica si  tratta di “punti luminosi” posti  nel Ligeia Mare  scoperti  dalla sonda Cassini  nel 2013: gli scienziati  hanno pensato  ad essi  come “iceberg” galleggianti in un mare di  metano, oppure bolle causate da fenomeni  fisici  come il riscaldamento.

I risultati di  questi  studi  sono  stati  recentemente pubblicati in un articolo  sulla rivista Nature Geoscience: in esso il team di  ricercatori della Cornell University di  New York avanzano l’ipotesi  che  i laghi  di  Titano, al pari  di  quelli  terrestri, possono mutare in base ad un fenomeno  stagionale come quello  estivo della Terra.

Le similitudini  tra Titano  ed il nostro pianeta si  fermano  solo a questo  fenomeno: sulla luna di  saturno  la vita è impossibile in quanto la temperatura media è di – 183°C

Titano, comunque, è l’unico corpo nel  sistema solare (oltre ovviamente la Terra) a presentare laghi, fiumi e piccoli mari ed è ipotizzabile che l’umidità e il  calore che sale da queste superfici liquide possano  causare cicloni tropicali del  tutto  simili  agli uragani  terrestri.

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