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Melodie aliene dalle Fasce di van Allen

 

il  30 agosto  2012 la NASA lanciò due sonde spaziali identiche per la missione Radiation Belt Storm Probes (RBPS) con lo scopo  di  studiare le regioni  dello spazio  circumterrestre chiamate Fasce di  van Allen.

Semplificando  le Fasce di  van  Allen possono essere immaginata come una grossa ciambella (geometricamente un toroide) composte da un plasma di particelle cariche, trattenuto dalla forza del  campo  magnetico  terrestre.

Le Fasce di  van Allen si  dividono in una zona interna stabile composta da un plasma di  elettroni  e ioni positivi, una zona esterna composta da soli  elettroni ad alta energia e molto più dinamica.

In effetti gli  strumenti  a bordo delle due sonde hanno  evidenziato  la presenza di una terza fascia transitoria più esterna nella fase di  comprensione verso  l’interno  delle due sopra citate.

A bordo  delle sonde della missione RBPS sono alloggiate una suite di  strumenti (EMFISIS) per misurare il campo elettrico  e magnetico, compreso fra i 10 Hz ed i 400 kHz, dei  settori  delle Fasce di  van Allen . 

Craig Kletzing, professore di  fisica dell’Università dello  Iowa, ha trasformato le onde elettromagnetiche registrate da EMFISIS in un suono percettibile dall’orecchio umano (si  ricorda che il nostro  campo  uditivo è compreso  fra i 20 Hz e 20 kHz).

Il risultato è un suono alieno ma, in un certo  senso, affascinante.

 

TRACCE AUDIO

 

TRACCIA 01 

TRACCIA 02

TRACCIA 03

 

Nello spazio, 466 milioni di anni fa

 

Trentanove anni luce, cioè la distanza che ci  separa dai mondi del  sistema Trappist – 1,  sono  davvero una bella distanza da percorrere, quindi  dobbiamo  aspettare che uno Stargate possa colmarla senza che intere generazioni di  esseri umani  vadano  perdute nel  viaggio.

 

In viaggio verso  gli  esopianeti di  Trappist – 1 (dal sito italiano  della rivista Focus)

 

Ben altra cosa è il viaggio  temporale che, all’interno  del nostro  sistema solare,  ci porta indietro a 466 milioni di  anni fa.

Allora, in quella che la fantascienza di una volta definiva spazi  siderali, avvenne un cataclisma di enorme dimensione: la collisione di  due asteroidi, uno dalla dimensione pari  allo stato  del  Connecticut,  diede origine a migliaia di  frammenti, alcuni  dei  quali  caddero  sulla Terra quando  era presente un solo ed unico  supercontinente: la Gondwana.

Ancora oggi, anche se il flusso di  meteoriti di  quel gigantesco  scontro va ad esaurirsi, alcuni frammenti  cadono sulla superficie della Terra.

Tra le orbite di Marte e Giove è posizionata la cosiddetta Fascia principale: la regione del  nostro  sistema solare occupata da asteroidi  e pianeti minori  (Vesta è l’oggetto più luminoso  e secondo  per dimensione a Cerere): è un ambiente decisamente turbolento considerando  che, in tempi  misurati in scala di milioni  di anni, avvengono collisioni da cui  si originano nuove famiglie di  asteroidi.

Da queste collisioni si  formano  le meteoriti  che, sulla Terra, portò all’evento  che con ogni  probabilità causò l’estinzione dei  dinosauri, mentre sulla Luna l’impatto di uno  di  questi  giganteschi  frammenti formò il cratere Tycho.

Ritornando alla collisione di quasi  mezzo miliardo  di  anni  fa,  l’analisi chimica dei  frammenti ha portato alla conclusione che quel  tipo  di  rocce appartengo  alle rarissime acondriti rispetto  alle condriti che rappresentano  l’86 per cento  dei  frammenti  di  epoca più recente.

Lo studio  di  ciò che è avvenuto in quell’epoca lontanissima, porterà alla conoscenza di  alcuni  aspetti  sull’evoluzione del nostro  sistema solare in un periodo  in cui si pensava che esso fosse, per così dire, stabile.

 

KCI 8.462.852: un mistero ancora da svelare

 la "mappa stellare" di KCI 8.462.852

la “mappa stellare” di KCI 8.462.852

Millecinquecento  anni luce ci separano  dalla stella KCI 8.462.852 e, se questa distanza è enorme, ancor più è il mistero  che la circonda.

Cosa si frappone fra essa e l’osservatore, nel nostro  caso il telescopio Kepler impegnato  nella missione omonima, tanto da creare picchi  di oscuramento nella luce emessa dalla stella?

È inutile dire che, a questo punto, la fantasia galoppa portando ad ipotizzare civiltà aliene che sfruttano  l’energia della stella (la famosa Sfera di  Dyson), oppure la polvere dovuta ala distruzione di un pianeta per mezzo  di un’arma letale come la Morte Nera del  ciclo fantascientifico  di  Guerre Stellari.

O ancora uno  sciame di migliaia di asteroidi che ruotano intorno a KCI 8.462.852.

Certo che è affascinante pensare a civiltà aliene come, del resto, sapere che ancora tante cose sono da scoprire lì fuori e cioè in questo incommensurabile Universo di  cui  siamo solo meno  di un granello  di  sabbia (ma determinati alla conoscenza).


 

 


 

 

Proxima fermata: la vita

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Posizione di Proxima Centauri rispetto alle stelle luminose più vicine.

Questa volta la scoperta di un pianeta extrasolare che, grazie alla presenza di acqua potrebbe ospitare una forma elementare di  vita, è stata fatta in agosto da un team  internazionale di  ricercatori   presso il Laboratorio  Astrofisico  di  Marsiglia (CNRS / Aix-Marseille Université).

Il pianeta si  chiama Proxima b e si trova a 4,2 anni luce dalla Terra, di  dimensione pari  a 1,3 volte rispetto  al nostro pianeta, ed  orbitante intorno  alla stella nana rossa  Proxima Centauri.

Lo  studio  degli  astronomi ha evidenziato  che  Proxima b  potrebbe essere totalmente coperto  di  acqua liquida  (non come quella ghiacciata di  Europa e Encelado, rispettivamente le lune di  Giove e Saturno).

Si  è  detto  che questo oceano  può ospitare una qualche forma di  vita ma,  a causa  della vicinanza di  Proxima b alla sua stella, cioè 4,6 milioni di miglia che corrisponde ad un decimo  della distanza di  Mercurio  dal  Sole,  alcuni  scienziati avanzano dei  dubbi  sul fatto che un svilupparsi  con temperature così alte.

Il team di  Marsiglia risponde a questa perplessità dei loro  colleghi, dicendo  che Proxima Centauri  è una nana rossa la cui  massa e raggio  corrisponde solo ad un decimo  di  quello  del Sole e, quindi, la temperatura dell’oceano  sarebbe in accordo con lo sviluppo  di  una forma di  vita.

Naturalmente, essendo Proxima b, un pianeta extrasolare, nulla è ancora certo per cui occorrono  ancora degli  studi per dire quale delle due tesi sia quella giusta

Nuova ipotesi per la formazione delle lune di Marte

070716

 

Per Phobos e Deimos, le due lune di  Marte, si è sempre ipotizzato  che la loro origine fosse dovuta ad una “cattura”  di  due asteroidi da parte del pianeta rosso. Oppure, in una variante dell’ipotesi appena citata, le due lune si  siano  formate in seguito alla collisione tra due asteroidi  nei  pressi  di  Marte, e che ad essere catturate furono i frammenti generati da questo impatto.

Una recente teoria propone un nuovo modello basato  sull’ipotesi  che la collisione di un asteroide direttamente sulla superficie di  Marte, abbia dato l’inizio  alla formazione delle due lune.

L’immenso  cratere del  bacino  Borealis, che con i  suoi 8500 chilometri  di  diametro occupa il 40 per cento  della superficie di  Marte, potrebbe essere la prova dell’impatto con un’asteroide.

Un team del Royal Observatory of Belgium, attraverso un modello  matematico, ha ipotizzato che, poche ore dopo l’impatto, intorno  a Marte si  sia formato un disco  composto  da detriti.

Nella parte più densa di  questo  disco si  formò una grande luna che, a sua volta, attraverso la propria attrazione gravitazionale, riuscì a concentrare materiale sottraendolo  dalla parte più esterna del  disco.

La luna, sempre secondo lo  studio  degli  astronomi  belgi, era geologicamente instabile e, diversi milioni  di  anni dopo, si distrusse lasciando Phobos e Deimos come unici  satelliti  di  Marte.

La vita aliena alla luce delle lune di Kepler-1647b

luna

 

Come si prenderà l’abbronzatura se nel  cielo  vi  sono due “Soli”?

A questa domanda potrebbe rispondere un eventuale abitante di Kepler-1647b, un esopianeta della dimensione di  Giove situato  a 3.700 anni  di  luce dalla Terra nella costellazione del  Cigno.

Questo  gigante orbita attorno  ad un paio  di  stelle binarie. Gli  scienziati hanno  calcolato  approssimativamente la sua età in 4,4 miliardi  di  anni, più o  meno “coetanea” del nostro pianeta.

La sua orbita intorno alle due stelle, molto  simili  al nostro  Sole, è a circa  2,7 unità astronomiche (quella della Terra è pari a 1 UA): tale distanza rientra in quella della “fascia della vita”:  cioè quella zona in cui calore e luce solare permette la formazione di  acqua liquida.

A smorzare ogni  facile entusiasmo che vorrebbe Kepler-1647b abitato  dai cugini  di  ET, ci pensano gli  astronomi informandoci  che il pianeta, come Giove, è un pianeta gassoso. Difficilmente potrebbe ospitare la vita come la intendiamo  noi terrestri.

Come Giove e Saturno,  però,  anche Kepler-1647b

potrebbe avere diverse lune rocciose dove la vita sarebbe (il condizionale è d’obbligo) possibile.

Natura ed astronomia nel Parco dell’Antola

Osservatorio Antola

Da un progetto congiunto  fra Regione Liguria, provincia di  Genova ed Ente Parco dell’Antola (in collaborazione con il comune di  Fascia), nel  settembre del 2011 venne inaugurato l’Osservatorio Astronomico del  Parco Antola.

L’osservatorio, posto in uno  degli  ambienti naturali più belli  della Liguria e cioè quello  dell’Alta Val  Trebbia, si  trova in località Casa del  Romano ad una quota di 1406 metri  sul livello  del  mare. È dotato di un telescopio  di 80 cm di  diametro  tra i maggiori in Italia, con una sala per le conferenze che può ospitare 50 persone, un impianto  di  video proiezione e planetario  digitale.

Gli  esperti dell’Associazione Urania, associazione di  astrofili fondata a Genova nel 1951, accompagnano i  visitatori alla scoperta del  cielo  notturno e dei  suoi  segreti.

Inoltre, proprio per il fatto  di  essere dotato di un telescopio  di ampio  diametro, l’Osservatorio si pone come nodo nel  sistema europeo di  ricerca astronomica, ed è inserito in quello mondiale della rete NEO (Near Earth Object), fondamentale per lo  studio delle orbite degli  asteroidi e la valutazione riguardo  alla pericolosità relativa ad un loro  impatto  con la Terra.

Come si  è detto in precedenza, l’Osservatorio si  trova nel  cuore del Parco naturale regionale dell’ Antola , per cui la possibilità di  utilizzare l’ampia rete sentieristica (ogni  tragitto è ben  segnalato  da appositi  segnavia) è consigliata sia per raggiungere il monte Antola (1.597 metri) che altre mete di  notevole pregio  naturalistico.

All’interno  del parco è possibile pernottare presso il Rifugio Parco  Antola.

La sede del Parco è nel centro  del paese di  Torriglia (aperta anche nei  giorni  festivi).

Non è poi così monotono Caronte

rappresentazione artistica della superficie di Plutone con Caronte all'orizzonte "ESO-L. Calçada - Pluto (by)" di ESO/L. Calçada - Pluto (Artist’s Impression). Con licenza CC BY 4.0 tramite Wikimedia Commons - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:ESO-L._Cal%C3%A7ada_-_Pluto_(by).jpg#/media/File:ESO-L._Cal%C3%A7ada_-_Pluto_(by).jpg

rappresentazione artistica della superficie di Plutone con Caronte all’orizzonte ESO-L. Calçada – Pluto

È stata una sorpresa per gli  scienziati  della Nasa che, analizzando le immagini  del  maggiore dei  cinque satelliti  di  Plutone e cioè Caronte, non si  sono ritrovati  davanti  ad un mondo monotono  formato da crateri   sparsi su  di un territorio  desertico, quanto piuttosto un paesaggio fatto  di montagne e canyon.

Le foto ad alta risoluzione, scattate dal  satellite della Nasa New Horizons il 14 luglio scorso, evidenziano un vasto  sistema di canyon esteso per più di 1.000 miglia sulla superficie di Caronte.

In basso una delle immagine della superficie di  Caronte inviate alla Nasa da New Horizons.

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Collegandoci al tema dello spazio, e nel giorno  seguente alla morte di  David Bowie, abbiamo  pensato  ad un piccolo  contributo  alla memoria dell’artista.

 

Materia oscura ed estinzione dei dinosauri

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Lisa Randall

Lisa Randall (nella foto) è una ricercatrice e professoressa di  scienze presso l’università di  Harvard,   i suoi  studi recenti  sono stati indirizzati  verso  la materia oscura cioè quella forma di  materia che, se pur interagendo debolmente con la materia ordinaria attraverso  la gravità, non emette o assorbe luce.

Dark Matter and the Dinosaurs” è il titolo  del suo libro in cui avanza l’ipotesi  che la materia oscura sia stata una concausa per la  scomparsa dei  dinosauri  65 milioni  di anni fa.

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L’estinzione dei  dinosauri, ed insieme ad essi anche tre quarti delle specie viventi  allora, è stata causata da una cometa probabilmente proveniente dalla cintura di Oort, cioè quella regione dello  spazio oltre l’orbita di  Nettuno densamente popolata da comete.

Lisa Randall, nel suo libro,  ipotizza che l’orbita della cometa sia stata turbata da un’enorme massa formata da materia oscura che,  a differenza dell’altro  tipo  di materia oscura presente nello spazio e  ricordandoci di  essere sempre nel  campo  delle ipotesi scientifiche, si  sia condensata in un disco la cui  influenza gravitazionale era potente tale da “rapire” la cometa dalla sua orbita originaria.

 

Niente paura: la “Luna Rossa” non porta sciagure

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Il prossimo  28 settembre avremo “Eclissi di  sangue” e cioè una eclissi lunare spettacolare che “tingerà” di  rosso il nostro  satellite.

Ciò è dovuto  al fatto  che la Luna, trovandosi  al perigeo e cioè alla distanza minima dalla Terra, risulterà essere più grande del 14 per cento rispetto alla visione normale.

In basso la tabella fornita dall’Unione Astrofili Italiani (Uai)

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Se è vero che lo spettacolo non è per tutti, solo  le regioni  nordoccidentali italiane potranno goderne appieno della eclissi, è anche vero  che eventi  simili scatenano la fantasia di  alcuni, paventando catastrofi mondiali  come l’impatto  di una meteora sulla Terra.

Ciò non accadrà il 28 settembre prossimo e, probabilmente non acadrà per decine e decine se non centinaia di  anni (purtroppo il “Cigno nero” è una possibilità sempre presente.

Ovviamente questo  tipo  di  catastrofe è avvenuta già in passato (una per tutti  quella che ha portato  all’estinzione dei dinosauri.

Di  solito  sono  questi eventi singoli, riguardanti una sola meteora  che impatta con la Terra, eppure, 458 milioni  di  anni  fa vi  sono state due meteore che, simultaneamente, si  sono  scontrate con il nostro pianeta.

Il doppio impatto è stato al centro  di una ricerca dell’Università di Götemborg (Svezia meridionale),  svolta nella contea di  Jämtland dove sono situati  due crateri che si  sono  formati   dopo  l’urto.

Le dimensioni  delle due meteore erano molto  diverse: la più grande ha lasciato un cratere che misura 7,5 chilometri  di  diametro. L’altro  cratere ha dimensioni decisamente molto  più piccole e cioè solo  di 700 metri.

Ciò porterebbe a pensare che la meteora era una sola e che solo in un solo momento, magari entrando  nell’atmosfera terrestre,  si  sia scissa. La distanza fra i  due crateri  è di  sedici  chilometri.

Naturalmente, 458 milioni  di  anni fa, Jämtland non aveva l’aspetto odierno: era un fondale marino posto  a cinquecento  metri  dalla superficie dell’acqua.

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