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Acqua primordiale nella Chesapeake bay

 

All’incirca trentacinque milioni  di  anni  fa, quindi verso la fine dell’Eocene, l’impatto  con un corpo  celeste diede la forma a quel territorio  oggi  conosciuto  come baia di  Chesapeake situata sulla costa orientale degli  Stati Uniti, fra il Maryland e la Virginia.

Visualizzazione del  cratere di impatto nella baia di  Chesapeake

Visualizzazione del cratere di impatto nella baia di Chesapeake

 

C’è da dire che la baia di  Chesapeake, in algonchino  indica “un villaggio presso  un grosso  fiume”, si è formata in tempi  relativamente più recenti  e cioè 10.000 anni  fa durante l’ultima glaciazione.

Recentemente, grazie ad un’indagine scientifica sul  cratere che si è formato  dall’impatto e che si  trova sotto la superficie del mare, si è giunti  alla scoperta di  acqua marina risalente a 130 milioni  di  anni  fa.

Gli scienziati, perforando il fondo del cratere  a 1.800 metri  di profondità, hanno “catturato” l’acqua marina cenozoica: dalle analisi è risultato  che la sua salinità è il doppio  rispetto all’acqua oceanica odierna. Da questo  si  è  dedotta l’esistenza di un antico  bacino  chiuso  che, in seguito  alla deriva del  supercontinente Pangea, si  sarebbe aperto  formando l’inizio  di  quello  che è oggi l’oceano  Nord Atlantico.

Pericolo dallo spazio profondo: l’evento di Chelyabinsk può ripetersi

risonanze

(“Risonanze” © 24Cinque)

Gli scienziati della Nasa hanno  deciso  di non farci  dormire sonni tranquilli.

Ed è ovvio che, parlando di un ente che si occupa di  ricerche spaziali, l’incubo che potrebbe disturbare i nostri sogni è un “Armaggedon” reale, non più finzione cinematografica, causato  dall’impatto  di un corpo celeste con il nostro pianeta.

Non necessariamente, e per fortuna, si parla di catastrofi come quella che ha portato all’estinzione dei dinosauri, tanto meno di quello  che potrebbe accadere fra diciannove anni  con 2013 tv135 (e di  cui  abbiamo  già parlato in un precedente articolo, ma di eventi analoghi   come quello verificatosi  in Russia a Chelyabinsk (Urali) il 15 febbraio di  quest’anno.

Ricordiamo che il meteoroide (di quindici  metri  di  diametro) causò il ferimento  di 1.600 persone, ferimenti non dovuti all’azione diretta dei  frammenti  del “sasso  cosmico” ma dall’onda d’urto  che ha mandato in frantumi i vetri  delle finestre delle abitazioni.

L’Accademia Russa delle Scienze ha stimato il peso di KEF-2013 (è questo il nome dato al meteoroide) in 10.000 tonnellate e che la sua esplosione è avvenuta ad un’altitudine compresa tra i 30 e 50 km dal suolo.

La cosa più grave è quella che nessun apparato di controllo ha individuato il pericolo incombente.

Ed è soprattutto questo il tema di due articoli apparsi su  Science e Nature in cui, sempre secondo  le stime del Near Objet Program della Nasa, il pericolo  di impatto con meteoroidi  è di 4 – 5 volte maggiore di  quello  stimato  fino  ad oggi ed è possibile accorgersi dell’evento  solo a conti  fatti (o quasi).

Per questo Lindley Johnson, direttore del Near Objet Program, ha proposto di mettere in atto piani di  evacuazioni  delle città come nel  caso di  quelli dovuti ad uragani.

 

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