La popolazione dei Sami (tradizionalmente chiamata in modo improprio lappone) è composta da quasi 80.000 individui dislocati tra le nazioni della Filandaia, Norvegia e Svezia.
I primi cenni della loro storia risalgono al 1553, quando lo svedese Olaus Magnus (Olao Magno) pubblicò nella “Historia de Gentibus Septentrionalibus”, la vita e le tradizioni dei Sami di cui, fino ad allora, venivano solo narrate leggende prive di fondamenti storici.
Tradizionalmente l’economia dei Sami è basata sull’allevamento delle renne ma, come è già accaduto per i nativi americani, essa è messa in pericolo dagli interessi (ed ingordigia) delle multinazionali: nel sottosuolo del territorio Sami vi sono enormi giacimenti di rame, nickel e uranio che aspettano di essere sfruttati; mentre i produttori del settore legname avanzano pretese sulle foreste mettendo, in questa maniera, un’ipoteca sul delicato equilibrio ecologico della regione.
Dal 1991 i Sami chiedono che i tre Paesi in cui risiedono ratifichino la Convenzione numero 169 della ILO (International Labour Organization – agenzia Onu) in difesa dei diritti e delle rivendicazioni dei Popoli Indigeni.
Le politiche d’ integrazione, specie in Finlandia, se da un parte offre ai Sami un welfare e un sistema scolastico tra i più avanzati al mondo, dall’altra rischia di far perdere quelle che sono le peculiarità delle tradizioni culturali di questo popolo.
Per fortuna la tradizione non viene del tutto perduta, ma trasmessa alle nuove generazioni, con il lavoro di diversi artisti.
Lo joik, ad esempio, è la forma di canto tradizionale sami di cui Ulla Pirttijärvi ne è una delle principali artefici.
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