Si può dire che è stata una “pesca miracolosa” quella effettuata dagli scienziati a bordo della nave oceanografica tedesca Sonne, avvenuta nell’oceano Atlantico, a centinaia di chilometri ad ovest di Barbados, lo scorso mese di gennaio.
Nella slitta utilizzata per il dragaggio del fondo oceanico il contenuto non è risultato di natura animale, bensì di natura minerale: sfere di metalli pesanti delle dimensioni che andavano da quelle di una pallina da golf a quelle di una palla da softball. Immagini trasmesse dalle fotocamere della slitta hanno mostrato un vasto campo di questi noduli composti per lo più da manganese, che risulta essere il più grande deposito finora scoperto nell’Atlantico.
Il geologo Colin Devey, responsabile scientifico della spedizione patrocinata dal GEOMAR Helmholtz Centre for Ocean Research di Kiel (Germania), ha confermato l’eccezionalità del ritrovamento ribadendo che, fino ad oggi, i più grandi giacimenti di questo tipo di noduli sono localizzati nell’oceano Pacifico.
L’età di alcuni di questi noduli può risalire fino a 10 milioni di anni fa. Considerando che la loro crescita è di quasi cinque millimetri ogni milione d’anni, si può avere uno spaccato di quello che poteva essere la conformazione geologica dell’ambiente marino nelle ere passate.
Rimane, comunque, un mistero di come si siano formate queste sfere.
Insieme al manganese, la composizione delle sfere è costituita da rame, nichel e cobalto. Insieme a questi elementi vi è anche la presenza di quelli denominati come terre rare fondamentali per la tecnologia utilizzata negli smartphone ed altri dispositivi elettronici.
Quest’ultimo fattore ha innescato un dibattito sul rischio ambientale qualora si decidesse di operare l’estrazione dei noduli nelle acque profonde degli oceani: gli stessi scienziati della GEOMAR hanno dichiarato che, prima di iniziare potenziali azioni estrattive, bisogna approfondire la conoscenza delle dinamiche ambientali delle acque profonde degli oceani.
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