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Dal libro di Diane Ackeman: The Zookeeper’s Wife

 

Diane Ackeman

Diane Ackeman è profondamente legata alla natura e agli  esseri viventi, tanto  da farne il tema principale delle sue poesia e saggi.

Lei, che oggi ha sessantanove anni essendo  nata il 7 ottobre 1948, ha visto i suoi  scritti pubblicati sul The New York Times e sul National  Geographic, solo  per citarne alcuni delle più importanti  riviste con cui  collabora, ha ricevuto un Bachelor of Arts dalla Pennsylvania State University, ed un Master of Arts, Master of Fine Arts e Ph.D dalla Cornell University.

A questi  riconoscimenti  si  aggiungono quelli  dovuti alla sua ampia opera di  saggistica: The Human Age: The World Shaped by  Us; One hundred names for Love; Dawn Lighit; The Zookeeper’s Wife.

Da quest’ultimo titolo, The Zookeeper’s Wife, è tratto il film omonimo  per la regia di Niki Caro, con Jessica Chastain, Johan Heldenbergh e Daniel Brühl nei  ruoli  principali.

La locandina del film  The Zookeeper’s Wife in programmazione nelle sale americane dal 31 marzo 2017

 

Il film, che uscirà nelle sale americane il prossimo  31 marzo, è ambientato nel 1939 durante la Seconda guerra mondiale a Varsavia (un anteprima del  film si è avuta il 7 marzo  nella capitale polacca) quando  le truppe naziste invasero la Polonia.

Come altre vicende di ordinaria umanità che si ebbero durante il periodo  bellico, anche qui la storia vera è quella dei  coniugi Antonina e Jan Zabinski, gestori  della zoo di  Varsavia,  che nascosero nelle gabbie di  quegli  animali uccisi  dai  bombardamenti, centinaia di  ebrei  salvandoli  dalle persecuzioni.

 


 

 


 

“Son of Saul” di Làszlò Nemes

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L’orrore del nazismo  rivive in due film di  cui il primo, Il labirinto  del  silenzio del  regista Giulio  Ricciarelli (in sala dal 14 gennaio 2016), racconta il processo avvenuto a Francoforte nel 1963, che portò alla sbarra ventidue uomini coinvolti  nella gestione del campo  di  sterminio  di  Auschwitz.

Era la prima volta che la Germania del  dopo guerra instaurò un processo penale per giudicare propri  connazionali  per i   delitti da loro commessi durante la Seconda guerra mondiale.

Il processo, voluto  dall’allora procuratore generale Fritz Bauer (egli  stesso ebreo  esiliato  in Danimarca nel 1940), non solo  ebbe una vasta eco in Germania per i  fatti riportati durante le udienze processuali ma,  soprattutto, fu il modo  in cui  un’intera nazione aprì gli occhi su  di un dramma che aveva rimosso  dalla propria coscienza collettiva: la Shoah.

Il film dell’ungherese Làszlò Nemes “Son of Saul” riporta indietro  nel  tempo, all’anno 1944, sempre ad Auschwitz: Saul Auslânder è un membro del  Sonderkommando (un gruppo  di prigionieri  ebrei costretti  ad assistere i nazisti nella loro opera di  sterminio). Saul, mentre svolge il suo  drammatico  compito,  scopre tra i  corpi  destinati  al forno  crematorio quello che crede suo  figlio.

A questo punto decide di  salvare il corpo  del  bambino  dalle fiamme per portarlo davanti  ad un rabbino e recitare il Kaddish  del  lutto e, quindi, offrire allo  sventurato una degna sepoltura.

A differenza del primo film, questo  film non racconta quello  che è  stata la Shoah, ma si  sposta sul piano  nel dramma personale di un uomo  costretto  dagli  eventi a perdere la sua umanità e ritrovarla in un’azione, quella di  salvare le spoglie mortali  del  bambino, vissuta come sua personale rinascita morale e, nello  stesso tempo, ribellione contro l’aberrazione nazista.

Feng-Shan Ho: un cinese fra i “חסידי אומות העולם” (Giusti tra le nazioni)

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L’uomo ritratto nella foto si chiamava Feng-Shan Ho ed era, tra il 1938 e il 1940, console generale cinese a Vienna.

Proprio  grazie a questa sua posizione, disobbedendo agli ordini dei  suoi  superiori, riuscì a salvare la vita a quasi  duemila ebrei, il cui  destino sarebbe stato  quello  della deportazione, fornendo  loro  dei  visti  di  espatrio.

Feng-Shan Ho nel 1970 si  trasferì a San Francisco e solo  dopo  la sua morte, avvenuta nel 1997, si  ebbe notizia di  ciò che aveva fatto: nel 2000 venne riconosciuto  dal  governo  israeliano  come “Giusto tra le nazioni”.

 

 

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