Trentaquattro anni fa, il 31 marzo 1984, due killer uccisero Renata Fonte, assessora alla Cultura di area repubblicana al Comune di Nardò.
Il motivo dell’omicidio era l’impegno che lei aveva profuso per difendere il territorio di Porto Selvaggio da speculazioni edilizie (dal 2006 l’area è diventata il Parco naturale regionale di Porto Selvaggio e Palude del Capitano).
Renata Fonte fu tra le fondatrici di un comitato nato per l’istituzione di un vero parco naturale che avrebbe posto fine alle richieste degli speculatori. Lei, che ebbe come mentore per un suo impegno politico lo zio Pantaleo Ingusci (repubblicano ed antifascista), fu eletta nelle elezioni comunali di Nardò del 1982, nelle file dell’allora Partito Repubblicano Italiano, con 222 voti: un vero successo per una donna che, per questa sua passione politica, ne pagherà le conseguenze più gravi.
Le indagini seguenti all’omicidio portarono all’arresto di due killer, di due intermediari e di un unico mandante: Antonio Spagnolo, compagno di partito di Renata Fonte, che sembrava aver commissionato il delitto semplicemente per prenderne il posto nell’assessorato lasciato vacante.
Tutto sembrava chiuso quando un giovane cronista del Quotidiano di Lecce, Carlo Bollino, scriverà il libro La posta in gioco in cui, attraverso una dettagliata indagine giornalistica, mette in luce che l’assassinio di Renata Fonte fu a causa di interessi di faccendieri e politici pugliesi collusi con la mafia.
Dal libro di Carlo Bollino è stata tratta la sceneggiatura per il film omonimo del 1988 diretto da Sergio Nasca ed interpretato da Lina Sastri, Turi Ferro e Vittorio Caprioli.