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Da Swing Kids a Swing Heil: dal cinema al teatro

Frame dal film Swing Kids di Thomas Carter (1992)

 

Nel 1992 il regista Thomas Carter diresse il film Swing Kids incentrata sulla vera storia di  giovani  tedeschi che, durante il nazismo, presero il nome di  Swing Kids in netta contrapposizione alla Gioventù Hitleriana e per la libertà di  seguire uno  stile di  vita incentrata  sul concetto  di piacere anche  attraverso l’espressione del   ballo, in special modo  lo  swing importato   dall’America e considerato  degenere dalla dittatura.

Ventisei  anni  dopo  l’uscita nelle sale di  Swing Kids, il tema della ribellione e insofferenza di  una parte dei  giovani  contro  il regime nazista, viene ripreso per una rappresentazione teatrale interpretato  da un folto  gruppo  di  studenti  delle scuole superiori  di  Genova.

La regista Elena Dragonetti   ha messo in scena presso il Teatro dell’ Archivolto  di  Genova lo spettacolo Swing Heil – Swing Heil era il  saluto utilizzato  dai giovani dello  swing come sberleffo  al Sieg Heil nazista –  .

La trama è pressoché quella del  film: Ad Amburgo un gruppo  di giovanissimi, appartenenti  a famiglie antinaziste e filonaziste, si  riuniscono  clandestinamente per ballare, ma sarà la guerra e l’inasprirsi  della dittatura a separarli, ognuno  seguendo il proprio  tragico  destino.

Swing Heil, nelle sue due uniche serate di  rappresentazioni sul palco dell’Archivolto, ha registrato il tutto  esaurito nella vendita dei  biglietti.


 

La scena del  ballo  dal  film Swing Kids di  Thomas Carter (1992)

 

  

La regina del clarinetto: Anat Cohen

Anat Cohen
 foto di  Jimmy Baikovicius

 

La rivista di  musica jazz Downbeat nel 2014, attraverso un sondaggio proposto  ai  suoi  lettori, incoronò come migliore clarinettista dell’anno Anat Cohen, mentre il suo  album Claroscuro si  aggiudicò l’undicesima posizione come miglior lavoro nel  campo  della musica jazz per l’anno precedente.

Non era la prima volta che Anat Cohen si  aggiudicò quel  titolo da parte di  Downbeat: già precedentemente, per ben tre volte, si  ritrovò in cima al  risultato  di  quel  tipo  di  sondaggio.

Lei  è originaria di  Tel  Aviv, ma vive a New York. Con i fratelli Avishai e Yuval (rispettivamente tromba e sax) hanno dato  vita a d un trio che riscuote successo  tra gli  appassionati  di  questo  genere musicale.

 


 

 


 

 

Yu – Mex: quando El mariachi si trasferì in Jugoslavia

 

Con settemila dollari  come budget non si può pensare di  fare grandi  cose, tanto  meno un film.

Eppure, venticinque anni  fa, Robert Rodriguez realizzò con quella somma un film che presto  sarebbe diventato  un cult: El mariachi.

El mariachi si  sviluppò in una trilogia con Antonio  Banderas nel  ruolo  principale, dando così vita ad un nuovo genere: il burrito-western, che non ebbe certamente la stessa fortuna degli  spaghetti –western realizzati da Sergio  Leone  accompagnati  dalle splendide colonne sonore di  Ennio  Morricone.

A fare la fortuna della trilogia del mariachi furono  senz’altro le vicende narrate piuttosto che la colonna sonora.

Risalendo nel tempo, e cioè tra gli anni ’50 e ’60 in quella che era la Repubblica Socialista Federale di  Jugoslavia, nasceva lo  stile Yu – Mex.

In pratica alcuni  cantanti popolari  nella Jugoslavia di  Tito decisero di  eseguire canzoni  messicane, naturalmente tradotte nella loro  lingua nazionale.

In questa maniera nacquero  delle band, come il Trio  Paloma, che si  esibivano con tanto  di  sombrero e costume made in Mexico.


 

 

Se invece preferite il mariachi  interpretato  da Antonio  Banderas

 

 


 

A Taste of Honey è la sigla di…

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Il programma televisivo Tutto il calcio minuto per minuto non ha bisogno  di presentazioni visto  la sua notorietà, al meno  tra i cultori  del  gioco  del  calcio.

Quanti, però, sanno dare esattamente il titolo della della sigla e il nome dell’autore?

A taste of Honey: è questo  il titolo  del brano che dal 1965 accompagnò la celeberrima trasmissione dedicata al  calcio (fu  sostituita solo  nel 1988) e Herbert “Herb” Alpert ne era l’autore.

Trombettista precoce a soli  dodici  anni, Herbert Alpert (Los Angeles 31 marzo 1935) si può dire che inventò il  suo  stile ascoltando  la musica mariachi durante un viaggio  a Tijuana (Messico). Fondò un proprio  gruppo (1962) chiamandolo  The Tijuana Brass.

Miscelando  musica mariachi con smooth  jazz, crearono un genere che senz’altro  contribuì al successo  della Tijuana Brass e, ovviamente, del  fondatore Herbert Alpert.

Pur continuando a servirsi degli  strumentisti  della band, nel 1969 Alpert decise di  sciogliere il gruppo.

A testimoniare la fama del  trombettista americano sono  i  suoi quattordici dischi  di platino e i  quindici  dischi  d’oro.

Una piccola curiosità: Herbert Alpert ha lavorato  anche nel  cinema, anche se solo una volta come comparsa nel  film “I dieci comandamenti” diretto  da Cecil B. DeMille nel 1956.

Il suo  ruolo? Quello  di uno  schiavo  ebreo  che suonava un tamburo.

 

 

 

Chihiro e Yuja, Giappone e Cina, jazz e musica classica al pianoforte

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Chihiro Yamanaka ha 41 anni, è nata in Giappone (Kiryū, Prefettura di Gunma).

Yuja Wang  ha 29 anni, è nata in Cina (Pechino).

Quello  che accomuna le due donne (oltre che al  fascino) è che entrambe sono  valenti pianiste: la prima nella musica jazz, la seconda in quella classica.

C’è ancora una cosa che le accomuna oltre che suonare il pianoforte: l’energia e la vitalità che impiegano  nelle loro  esecuzioni è tale da trasmettersi  al pubblico  che le segue nei  loro concerti  dal  vivo.

Recentemente le due artiste si  sono  esibite in Italia: Yuja Wang il 7 giugno  scorso all’Auditorium Parco  della Musica a Roma, Chihiro Yamanaka il 17 aprile sempre all’Auditorium di  Roma.


CHIHIRO YAMANAKA – She Did It Again


 

Yuja Wang – Shostakovich 1st Piano Concerto


 

Il (quasi) blues di Ravid Kalahani

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Non è blues ma si  avvicina molto  ad esserlo: Ravid Kalahani, israeliano  di  origine yemenita, partendo  dalla tradizione musicale israeliana, contaminandola con quella marocchina e serba, crea il suo  stile che, solo per semplicità, può essere catalogata come “world music”.

È lo stesso  artista, però, che ci  tiene a dire che più di “musica etnica” la sua vuole essere un inno  alla fratellanza dei popoli e l’abbattimento  di  quelle frontiere,  più mentali  che fisiche, che dividono le genti piuttosto  che accomunarle in un disegno  di pace.

Ed è anche per questo  che nei  suoi  concerti viene sempre accompagnato  da musicisti provenienti  da diverse parti  del mondo, quasi a sottolineare la sua speranza che la pace avrà la meglio sulla diffidenza verso altre culture.  

Darshan: tradizione e musica rap

 

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Darshan è il nome del  duo  musicale israeliano composto  dal chitarrista Shir Yaakov e dal cantante rapper (nonché poeta) Eden Pearlstein.

A loro due si  aggiungono durante gli  spettacoli  dal  vivo il  cantante e suonatore di  oud Basya Schachter ed il tastierista Jamie Saft,  quest’ultimo  specializzato in musica jazz d’avanguardia.

L’ispirazione per  i  testi  dei Darshan è presa direttamente dalle preghiere tradizionale e dalla cultura cabalistica ed accompagnata dalle sonorità del jazz moderno.    

 

Una voce per il popolo Sami

Bandiera Sami

Bandiera Sami

 

La popolazione dei Sami (tradizionalmente chiamata in modo improprio lappone) è composta da quasi  80.000 individui dislocati  tra le nazioni  della Filandaia, Norvegia e Svezia.

 

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I primi cenni della loro  storia risalgono  al 1553, quando lo  svedese Olaus Magnus (Olao Magno) pubblicò nella  “Historia de Gentibus Septentrionalibus”, la vita e le tradizioni dei  Sami di cui, fino  ad allora,  venivano  solo narrate leggende prive di  fondamenti  storici.

Tradizionalmente l’economia dei  Sami  è basata sull’allevamento  delle renne ma, come è già accaduto per i nativi  americani, essa è messa in pericolo  dagli interessi (ed ingordigia) delle multinazionali: nel  sottosuolo del  territorio  Sami   vi sono enormi  giacimenti  di  rame, nickel  e uranio che aspettano  di  essere sfruttati; mentre i produttori del  settore legname avanzano  pretese sulle foreste mettendo, in questa maniera, un’ipoteca sul delicato  equilibrio  ecologico  della regione.

Dal 1991 i  Sami chiedono che i  tre Paesi in cui  risiedono ratifichino la Convenzione numero 169 della ILO (International Labour Organization – agenzia Onu) in difesa dei  diritti  e delle rivendicazioni dei Popoli  Indigeni.

Le politiche d’ integrazione, specie in Finlandia, se da un parte offre   ai Sami un  welfare e un sistema scolastico  tra i più avanzati  al mondo, dall’altra rischia di  far perdere quelle che sono  le peculiarità delle tradizioni  culturali  di  questo popolo.

Per fortuna la tradizione non viene del tutto perduta,  ma trasmessa alle nuove generazioni, con il lavoro di  diversi  artisti.

Lo joik, ad esempio, è la forma di  canto  tradizionale sami di  cui Ulla Pirttijärvi  ne è una delle principali  artefici.

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“Ethio – jazz” alla francese: gli Akalé Wubé

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Tra gli  anni Sessanta e Settanta nell’Etiopia di Haïle Sélassié era in voga la “ethio – jazz”, il cui padre indiscusso  fu Mulatu Astatke.

Questo genere è una miscela di suoni Jazz e Latin miscelati con la musica etnica etiope: Ethienne de la Saiette, saxofonista e fondatore del quintetto parigine Akalé Wubé, prende spunto dalla “ethio – jazz” per “contaminarla” con elementi  del funk e della fusion, utilizzando  anche strumenti quali il krar tipico della cultura “asmari”.

L’ultimo album degli Akalé Wubé  ha il titolo  “Sost” ed ha in veste di  coautori il camerunense Manu Dibango (sax) e la cantante Genet Asefa (Krar Collective).

 

La musica “alla fine del mondo”

Tanya Tagaq

Tanya Tagaq

L’innesto della musica tradizionale Inuit con la sperimentazione elettronica trova in Tanya Tagaq la

sua  giusta interprete.

È la sua voce potente, a tratti misteriosa, a condurci in un mondo ancestrale e spirituale come quello  della cultura inuit: lei  stessa appartiene a questa etnia essendo  nata a Nunavut (Canada settentrionale) trentasette anni  fa.

In Canada il suo impegno  per la riscoperta della cultura di appartenenza le ha fruttato  premi  ambiti  come Il Polaris Music Prize istituito  al fine di promuovere la musica prodotta nei paesi limitrofi all’Artico.

L’ultima sua opera è l’album “Animism” che la stessa cantante islandese Björg ha definito  come “un viaggio  alla fine del mondo”.

 

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