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Il Libro dei segni miracolosi di Augusta

 

E’  di pochi  giorni  fa il primo  avvistamento  di un presunto UFO nei cieli  del  Messico, per lo meno  quello  che ufologi  e appassionati  di  fantascienza affermano  che sia, cosa che verrà poi smentita da chi, razionalmente, cerca la causa dell’avvistamento in un qualche fenomeno  tutto  terrestre.

E’  anche vero  che oggi la tecnologia aiuta molto  a dissipare ogni  dubbio su  qualche mistero  costruito  dalla  fantasia e credulità di  alcuni, ma lo  stesso  si può dire dei  fenomeni apparsi cinque o  sei  secoli  fa, quando  certo non esistevano  smartphone o Facebook per divulgare l’evento?

Il Libro  dei  segni miracolosi di  Augusta  (o Libro  dei  Miracoli) è un manoscritto  redatto  ad Augusta nel 1550 e composto  da 169 pagine con raffigurazioni ad acquarello.

Le immagini  rappresentano  fenomeni legati  a prodigi biblici, ad alcune calamità dell’epoca, ma anche quelle di  comete viste nei  cieli del XVI secolo e di oggetti che fluttuano come l’ufo  visto  nei  cieli  del Messico.

Il Libro dei  segni  miracolosi  di  Augusta  è stato  edito  da Taschen a cura di  Till – Holger Borchert, docente di Storia dell’Arte all’Università di  Aquisgrana e Joshua  P. Waterman, ricercatore del Germanisches Nationalmuseum 

 

 

I rotoli di En – Gedi

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Il rotolo di En _ Gedi Credit: Da Seales et al, Sci.. Adv. 2: e1601247 (2016). Distribuito sotto Creative Commons Attribution Non Commercial License 4.0 (CC BY-NC).

 

Nel 1970, nell’oasi  di  En – Gedi  (Israele), gli archeologi  trovarono una pergamena   risalente all’incirca  al 612 a.C.

In quel  sito, tra il 700 a.C. ed il 600 d.C., prosperava un’antica comunità ebraica, la fine di  essa è testimoniata dai  resti  dovuti  ad un grande incendio. Tra questi  resti una cassa contenente rotoli in pergamena ( o in pelle d’animale) carbonizzati.

I rotoli, data la loro condizione, non potevano  essere manipolati pena la loro  stessa disintegrazione.

La tecnologia ha però permesso  la lettura di uno di  questi  rotoli (i quali, similmente ai  “Rotoli  del  Mar Morto, prendono il nome di  “Rotoli  di En- Gedi) che, presubilmente, tratta parte del  Levitico nella Bibbia ebraica.

Dapprima si è utilizzata una scansione a raggi X micro – computerizzata (Micro – CT) per evidenziare un eventuale testo  scritto  al  suo interno. Quindi si è proceduti ad una scansione con risoluzione sempre più alta. Ciò, pur consentendo   di  rilevare strati  d’inchiostro, dava sempre come risultato un testo illeggibile.

A questo punto  si  è ricorso  ad una complessa analisi  digitale chiamata virtual unwrapping.

Nel  video  seguente le fasi  di utilizzo di  questa particolare tecnologia.

 

 

Il quarto libro dei Maya è autentico: il Codice Grolier

Un antico  libro  Maya: il Codice Parigi

Un antico libro Maya: il Codice Parigi

 

Il ritrovamento negli  Anni ‘60 di   un manoscritto in lingua maya, risalente al periodo  preispanico, sarebbe degno  di un racconto  basato  sulle gesta dell’intramontabile archeologo – eroe Indiana Jones.

Infatti, il manoscritto  venne trovato  da alcuni  tombaroli in una grotta dello  stato  messicano  dello  Chiapas. Nel 1965 venne acquistato dal  collezionista messicano Josué Sàenz e, nel 1971, esposto al  Grolier Club di  New York (da cui prese il nome di  Codice Grolier).

Il Codice Grolier, una volta accertata la sua autenticità, potrebbe essere il più antico manoscritto in lingua Maya dei  quattro oggi  conosciuti: oltre ad esso gli  altri codici  sono  quello il Codice di Dresda,  il Codice di  Madrid ed il Codice di  Parigi (prendono  ovviamente il nome dalla città che li  conserva).

A questo punto è bene ricordare che i Maya, pur non avendo prodotto  molti documenti  scritti, hanno utilizzato  come supporto per la scrittura materiale organico (cortecce di  vegetali) che nel tempo  venivano  deteriorate dal  clima umido  dell’America centrale, per non parlare della distruzione avvenuta per mano  dei cristiani  europei che vedevano  in questi  manoscritti opere eretiche.

Ritornando  al  Codice Grolier esso è composto  da dieci  pagine contenenti  geroglifici  Maya, raffigurazioni di  divinità e un calendario con gli  spostamenti  di Venere (pianeta importante nella cultura Maya per eventi  religiosi) che ricopre un arco  di  tempo  di 104 anni.

Si è detto in precedenza che il Codice Grolier, per la  rocambolesca vicenda riguardante la  vendita al  collezionista messicano, è stato  da molti  ritenuto per anni un falso.

A questo  ribadiscono coloro  che vedono nel  Codice Grolier un autentico documento  Maya, adducendo  al fatto  che analisi al  radiocarbonio confermano  che i testi  sono  stati  scritti  nel primo periodo  post – classico (900 – 1200 d.C.  – vedi  tabella fine articolo) e che le divinità raffigurate nelle immagini  non erano  ancora state scoperte al momento del  ritrovamento. Inoltre, un particolare pigmento presente sui  fogli  chiamato  “Maya blu” , è stato possibile sintetizzarlo in laboratorio solo dopo il 1980.

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Newton: non solo mele e gravità

Sir Isaac Newton - Ritratto di Sir Godfrey Kneller (Olio  su  tela - 1702, particolare)

Sir Isaac Newton – Ritratto di Sir Godfrey Kneller (Olio su tela – 1702, particolare)

Isaac Newton (1643 -1727) nel 1687 pubblicò  Philosophiae naturalis principia mathematica, opera in cui descriveva le scoperte (ed intuizioni)  che ebbe quasi un ventennio  prima.

Infatti, nel 1666, lo  scienziato e filosofo pose i  fondamenti  del calcolo  infinitesimale nell’analisi matematica (scoperta contesa da Leibniz). Quindi, in quello  che molti  definiscono il suo annus mirabilis, seguì la legge della gravitazione universale e la scoperta della natura dei  colori  nella luce.

Queste scoperta, dopo  la pubblicazione della sua opera, lo resero famoso  spianandogli  sia la strada per una professione nella  politica (nel 1701 venne eletto nel parlamento inglese), sia per cariche prestigiose come quella di presidente della Royal  Society nel 1703. Infine, due anni  dopo, nel 1705, gli  fu  conferito il titolo  di  <<Sir>>.

Fin qui la figura del pensatore e filosofo è legata soprattutto al mondo  scientifico, ma Newton aveva anche interessi  per l’ermetismo, alchimia ed astrologia: il suo commentario  alla Tabula smaragdina  è un manoscritto oggi  conservato presso il King’s College di  Cambridge.

Fu  l’ Università di  Cambridge, nel 1936,  a volere che Sotheby mettesse all’asta parte dei manoscritti  di  Newton incentrati  sull’alchimia e teologia.

La storia vuole che proprio  quel  giorno, nella stessa strada dove si svolgeva l’asta di  Sotheby, ve ne era un’altra su capolavori  degli impressionisti tenuta da Christie. Fu  così che i manoscritti  di  Newton videro solo due acquirenti: l’economista John Maynard Keynes, e l’esperto negli affari  del  Medio Oriente Abraham Shalom Yahuda.

Non sappiamo come l’asta proseguì e quali  furono  le offerte per accaparrarsi i manoscritti, ma i  due contendenti  arrivarono  comunque ad un accordo:  all’economista andarono i manoscritti inerenti  all’alchimia,  mentre Yahuda venne in possesso  di  quelli  che parlavano  di teologia.

Nel 1951 Yahuda morì lasciando i manoscritti in eredità alla Biblioteca Nazionale di  Israele. In essi si  scopre che Newton, oltre che a scrivere di misticismo  ed esegesi, arrivò ad affermare che nel  Talmud era nascosta una conoscenza segreta del mondo, fino  alla fine di  esso: nel 2060.

Nel  frattempo i manoscritti conservati presso la Biblioteca Nazionale di  Israele possono essere visualizzati andando  su questa pagina.  

L’antenato del maestro Yoda.

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Mentre aspettiamo il ritorno  di  Han Solo e del  droide R2-D2, cosa che avverrà nelle sale italiane solo il 15 dicembre prossimo per la prima del  film “Il Risveglio  della Forza”, guardiamo  nel passato per una similitudine pittorica con il maestro  Yoda.

Tale somiglianza è rintracciabile in un manoscritto francese  del 14° secolo: lo  “Smithfield Decretalsl.

Damien Kempf, storico  dell’Università di  Liverpool, nel  suo  recente libro “Medieval Monster” ha inserito, tra le creature fantastiche create nel  medioevo,  anche il sosia del  maestro  Jedi aggiungendo, con un pizzico di  fantasia poetica, pensare che nel passato  sia esistito  veramente un saggio  come il maestro Yoda e che anche lui  possa risvegliarsi un giorno.

Che la Forza sia con voi.

 

 

 

La rivelazione di un “Libro Nero”

Una pagina de "II Libro  Nero di  Carmarthen"

Una pagina de “II Libro Nero di Carmarthen”

Sicuramente non sarà il “Libro degli incantesimi” visto  nella saga di  Harry Potter ma, in fatto di mistero e fascinazione, anche il “Libro nero  di Carmarthen” ha tanto da offrire.

Innanzitutto quest’ultimo è realmente esistente e non un prodotto di fantasia, essendo un manoscritto  del 1250 composto  da poesie e racconti di leggende di  eroi mitici (per la prima volta si  fa riferimento  a re Artù e Myrddin e cioè “mago  Merlino”), scritto in lingua gallese.

Il “mistero” è dovuto al fatto che, durante un’analisi in cui si è utilizzata la luce ultravioletta e software di  editing fotografico, l’equipe dell’Università di Cambridge, la quale   ha sottoposto il manoscritto  all’indagine scientifica, ha avuto  la sorpresa di  veder apparire ai  margini  di  alcune pagine  volti  spettrali ed altre annotazioni.

Naturalmente non si  tratta della rievocazione di  fantasmi ma, a dispetto  di ogni  “mistero”, di quello che il “Libro  nero  di Carmarthen” ha dovuto  subire quando, nel XVI secolo, un collezionista di  manoscritti antichi  lo  acquistò cancellando  tutti i disegni e gli  scritti  supplementari.

Per  i ricercatori la scoperta di  queste scritture, per così dire “nascoste”, serve per fare luce sulla letteratura gallese del XIII secolo.

Attualmente il “Libro  nero di Carmanthen” è ospitato  presso  la National Library of Walles e fa parte di una mostra dedicata a John Prise il collezionista che lo  acquistò nel sedicesimo secolo.

È definito “libro  nero” semplicemente perché la sua rilegatura è di  quel  colore.

Quindi nessun incantesimo per Harry Potter.

 

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