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I rotoli di En – Gedi

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Il rotolo di En _ Gedi Credit: Da Seales et al, Sci.. Adv. 2: e1601247 (2016). Distribuito sotto Creative Commons Attribution Non Commercial License 4.0 (CC BY-NC).

 

Nel 1970, nell’oasi  di  En – Gedi  (Israele), gli archeologi  trovarono una pergamena   risalente all’incirca  al 612 a.C.

In quel  sito, tra il 700 a.C. ed il 600 d.C., prosperava un’antica comunità ebraica, la fine di  essa è testimoniata dai  resti  dovuti  ad un grande incendio. Tra questi  resti una cassa contenente rotoli in pergamena ( o in pelle d’animale) carbonizzati.

I rotoli, data la loro condizione, non potevano  essere manipolati pena la loro  stessa disintegrazione.

La tecnologia ha però permesso  la lettura di uno di  questi  rotoli (i quali, similmente ai  “Rotoli  del  Mar Morto, prendono il nome di  “Rotoli  di En- Gedi) che, presubilmente, tratta parte del  Levitico nella Bibbia ebraica.

Dapprima si è utilizzata una scansione a raggi X micro – computerizzata (Micro – CT) per evidenziare un eventuale testo  scritto  al  suo interno. Quindi si è proceduti ad una scansione con risoluzione sempre più alta. Ciò, pur consentendo   di  rilevare strati  d’inchiostro, dava sempre come risultato un testo illeggibile.

A questo punto  si  è ricorso  ad una complessa analisi  digitale chiamata virtual unwrapping.

Nel  video  seguente le fasi  di utilizzo di  questa particolare tecnologia.

 

 

Abir Qesheth: da Israele con furore

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Parafrasando si potrebbe dire: <<Paese che vai,  arte marziale che  trovi>>.

Taekwondo, Karate, Ju Jitsu, Kung Fu: l’elenco delle “arti  marziali” è molto  lungo e tra quelle citate all’inizio, certo  tra le più conosciute,  si possono  trovare alcune praticate da poco  adepti e la cui  efficacia è da prendere con le dovute cautele.

Come la Abir Qesheth considerata un’antica arte marziale ebraica tramandata da guerriere yemeniti.

Tanto  antica, però, non sembrerebbe, visto  che proprio in Israele qualcuno  avanza dei  dubbi, soprattutto per il fatto che il suo “inventore”, o  colui  che dice di  essere l’erede di  tale disciplina, è un rapper di nome Yehoshua Sofer, con una certa fama in passato e sotto lo pseudonimo  di Nigel Ha’Admor (più o meno  traducibile in “Nigel il docente”).

Per quanto  riguarda la qualità di  rapper di  “Nigel il docente”, basta ascoltare  il brano dal  titolo “l’hummus rende stupidi” per farsene un’idea (qui  il brano tratto da YouTube).

Tra l’altro, se siete interessati a questa pietanza, sul Blog di Caterina ne troverete la ricetta.

Invece, nel  video  seguente, lo stesso Yehoshua Sofer da una dimostrazione delle tecniche fornite dalla Abir Qesheth: basta crederci e, nel  frattempo,  domandarsi se per praticarla è necessario farsi  crescere la barba.



 

Ma Indiana Jones ha la soluzione più efficace (e brutale) per togliersi  d’impaccio da brutte situazioni 

 

Afghan Geniza

 National Library of Israel: Afghan Geniza (frammento)

National Library of Israel: Afghan Geniza (frammento)

Nel 2011 la rete televisiva israeliana Channel 2 riferì di una particolare scoperta avvenuta, in maniera fortuita, nella provincia afgana di Samangan: si  trattava del  ritrovamento in una grotta di migliaia di  frammenti di  manoscritti in lingua ebraica vecchi  all’incirca di  mille anni.

A questo  corpus di  documenti  venne dato il nome di Afghan Geniza (Genizah indica in ebraico la parola ripostiglio).

Molti  di  questi  frammenti  vennero  venduti al  mercato  clandestino dei  trafficanti  di reperti  archeologici. Solo 29 di  essi, nel 2013, vennero acquistati dalla National  Library of Israel.

I frammenti rappresentano  quello  che erano  documenti riguardanti atti legali e di  compra vendita, ma anche frammenti  di poesia persiana e lettere personali.

Tra di  essi, quello che ha rivestito un maggior interesse storico, è un commento al  Libro  di  Isaia scritto nel 10° secolo  dal rabbino  Saadiah ben Yoseph Gaon  che fu anche  il primo  ebreo a scrivere in lingua araba.

Afghan Geniza servirà ad una maggiore comprensione della vita di una comunità ebrea pienamente integrata in una società mussulmana.  

 

Princess: realtà o fantasia nella mente di una dodicenne

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Princess è l’opera prima del  regista e scrittore israeliano Tali Shalom Ezer.

La trama del  film è incentrata sulla psicologia della dodicenne Adar che, mentre la madre è lontana da casa per lavoro, deve subire le attenzioni  del patrigno  al limite dell’abuso  sessuale.

La giovane incontrando  Alan, un ragazzo  che le assomiglia in maniera impressionante, lo  condurrà in famiglia alterando i  già delicati  equilibri in seno  ad essa.

Ma Alan esiste veramente, oppure è solo  la fantasia della dodicenne ad averlo  creato  per fuggire da una realtà drammatica?

È un gioco  di  realtà e fantasia che il regista Tali Shalom Ezer ha saputo magistralemte creare per questa sua prima opera.

Il film è stato presentato in anteprima nel 2014 al Jerusalem Film Festival dove è stato premiato come miglior film israeliano, mentre a Shira Hass (che interpreta la giovane Adar) è andato  quello  come miglior attrice.

L’anno successivo Princess è stato presentato  al  Sundance Film Festival ricevendo  critiche positive sia tra gli  addetti  ai lavori  che tra il pubblico.

 

Darshan: tradizione e musica rap

 

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Darshan è il nome del  duo  musicale israeliano composto  dal chitarrista Shir Yaakov e dal cantante rapper (nonché poeta) Eden Pearlstein.

A loro due si  aggiungono durante gli  spettacoli  dal  vivo il  cantante e suonatore di  oud Basya Schachter ed il tastierista Jamie Saft,  quest’ultimo  specializzato in musica jazz d’avanguardia.

L’ispirazione per  i  testi  dei Darshan è presa direttamente dalle preghiere tradizionale e dalla cultura cabalistica ed accompagnata dalle sonorità del jazz moderno.    

 

I mosaici di Huqoq

Parte dei mosaici  scoperti  ad Huqoq

Parte dei mosaici scoperti ad Huqoq

Recentemente un team di archeologi della University of North Carolina, guidata dal professor Jodi Magness, ha riportato  alla luce un mosaico pavimentale rinvenuto in un’antica sinagoga ad Huqoq (bassa Galilea) e risalente al V secolo.

Nel mosaico si può vedere un uomo con la barba condurre un toro per le corna, seguito  da altri  soldati ed elefanti  con  scudi legati  ai loro  fianchi, incontrare un anziano che indossa una veste cerimoniale ed  accompagnato  da altre figure di  giovani  sempre in abiti  cerimoniali.

<<Nella Bibbia ebraica – dice il professor Magness – in nessuna sua parte viene citato  la presenza di  elefanti.  Al contrario, parlando  di una rappresentazione di un’antica leggenda ebraica, si  cita l’incontro tra il condottiero ed un sommo sacerdote ebreo>>.

La stessa leggenda è riportata negli  scritti di  Flavio  Giuseppe (“Antichità Giudaiche”  libri XII – XX) ed altre versioni  presenti  nella letteratura rabbinica.

Alcuni  commentatori, alla notizia della scoperta, hanno semplicemente detto che nell’esercito  di  Alessandro Magno non erano  presenti  elefanti e,  se mai, furono  i  suoi  successori Seleucidi, i quali  regnarono  anche in Giudea, ad utilizzare gli  elefanti nei loro  eserciti.

“Zero Motivation”: l’ironia delle soldatesse d’Israele

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Zero Motivation è l’opera prima della regista e scrittrice israeliana Tayla Lavie.

Il  film è stato  presentato al  recente Tribeca Film Festival  di  New York, vincendo il Best Narrative Feature Award,  è la storia semi – ironica di  tre ragazze che devono  prestare servizio militare presso le Forze di  Difesa israeliane.

Non sono dei “rambo” al femminile ma, anzi, la loro vita militare trascorre lentamente (e noiosamente) in attività molto semplici  come servizi  di  segreteria e altre piccole mansioni  ai cui  si  aggiunge il difficile   rapporto  con i commilitoni maschi  più dediti  ai giochi online che ai  rapporti sociali.

Qualcuno  ha   paragonato “Zero Motivation” al film  di Robert Altman Mash ma, a conti  fatti,  quest’ultimo stravince con i suoi  33 fra premi  e riconoscimenti, tra i  quali l’Oscar alla migliore sceneggiatura non originale e la Palma d’oro  al 23° festival  di  Cannes.

In ogni  caso la regista Tayla Lavie si può consolare con il successo  che “Zero Motivation” ha avuto in Israele.

Naturalmente la leggerezza della trama del  film non potrà mai far dimenticare l’eterno  problema fra israeliani  e palestinesi: da una parte la popolazione civile palestinese “ostaggio” delle scelte di  Hamas e dall’altra parte le violenze di un esercito che prevarica l’esigenza della difesa dei  confini  nazionali.

Il documento “Israele. Le donne soldato rompono  il silenzio” è la testimonianza di  come la realtà sia ben  altra e decisamente più drammatica rispetto  ad una  semplice corvè.

 

 

“Aya”: 39 minuti per cercarsi

Locandina del  cortometraggio  israeliano  "Aya"

Locandina del cortometraggio israeliano “Aya”

Trentanove minuti: è questa la lunghezza del film israeliano “Aya” candidato Academy Award nella categoria Best Live Action Short (premio assegnato al cortometraggio inglese “The Phone Call”).

Aya è il nome di una giovane donna israeliana che, aspettando l’arrivo di un conoscente all’aeroporto  Ben  Gurion di Tel  Aviv, si vede consegnare da un conducente di auto un cartello con sopra scritto il nome di “Mr. Overby.

Quando lei si accorgerà che l’autista è sparito, decide impulsivamente di sostituirsi a lui aspettando il cliente: Mr. Overby, il quale  è un ricercatore di musica danese che deve recarsi a Gerusalemme per partecipare come giudice ad un concorso pianistico.

La riservatezza dell’uomo fa da contraltare alla spigliatezza di Aya ma, per entrambi, il viaggio  sarà l’occasione per aprirsi intimante l’uno all’altra.

La bellezza di  “Aya” sta proprio in questa ricerca di contatto introspettivo fra due persone nell’arco  di  tempo  di un viaggio in auto.

Il grado d’intimità raggiunto,  e ben   raccontata nel  film, è anche  forse  dovuto  al  fatto  che i due registi, Mihal Brezis e Oded Binnum, sono nella vita reale marito  e moglie.

Ad interpretare Aya è stata chiamata l’attrice francese Sarah Adler, mentre per il ruolo  di  “Mr Overby” l’attore danese Ulrich Thomsen.

 

 

 

“Voci censurate”: i dubbi dei soldati israeliani

Soldato israeliano  e civili  arabi  durante la Guerra dei  Sei Giorni (giugno 1967)

Soldato israeliano e civili arabi durante la Guerra dei Sei Giorni (giugno 1967)

 

Sono trascorsi  ormai  quarantotto  anni  da quel lontano  giugno  del 1967 quando la coalizione formata da Egitto, Siria e Giordania attaccò Israele.

La storia è quella della  vittoria di Israele e della conseguente conquista della penisola del Sinai, della Cisgiordania e della Striscia di  Gaza.

I soldati di  allora,  come è facile immaginare,  furono  accolti in patria come eroi.

Non si parlò mai  di loro e dei  traumi  che, come in ogni  guerra, ogni  soldato  porta con sè.

A sollevare questo  velo  furono Avraham Shapira e Amos Oz i quali, viaggiando  per i  kibbutz e intervistando i militari in congedo, scoprirono come molti  di  essi provavano dubbi e ansia per il modo  in cui venivano  trattati i civili  arabi.

Il film documentario  “Censored Voices” riporta per intero  il contenuto  di  quelle interviste che furono in parte censurate dai  vertici  dell’esercito israeliano.

Il film, presentato in anteprima al  Sundance Film Festival di  quest’anno, offre anche lo  spunto per dare voce ai militari israeliani che, riferendosi  all’attuale situazione di politica internazionale, esprimono una forte preoccupazione per il futuro della loro  nazione.

 

 

Scoperto antico villaggio in Israele

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Gli archeologi  della Israel Antiquities Autorithy (IAA) hanno  recentemente scoperto nei pressi di  Gerusalemme un villaggio  risalente a 2300 anni fa, quindi  ascrivibile al periodo del  Secondo  Tempio (538 a.C. – 70 d.C.).

Il nome del  villaggio è per gli  archeologi  ancora oscuro, ma è probabile per loro  che gli  abitanti erano  dediti alla coltivazione per la loro  sopravvivenza.

Altri studi hanno portato a pensare che il villaggio sia stato abbandonato alla fine della dinastia degli  Amorei coincidente con la salita al potere di  Erode il Grande (37 a.C.).

Per Yuval Baruch,  archeologo dell’IAA, l’abbandono  del  villaggio fu  anche dovuto  al fatto che per la costruzione del Monte del  Tempio veniva richiesta molta mano  d’opera e che quindi  si  assistette ad una migrazione di  massa dai  villaggi alla capitale del  regno.

La scoperta è stata possibile grazie ai lavori per un progetto  di  costruzione di un gasdotto che è stato opportunatamente rivisto per salvaguardare il  sito  archeologico.

 

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