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I varani in Europa 800.000 anni fa

Varanus komodoensis

 

La famiglia dei  varani, di  cui  il drago  di  Komodo  è la specie più conosciuta, era considerata scomparsa dall’Europa all’incirca verso  la fine del  Pliocene, cioè 2,5 milioni  di anni fa.

Il ritrovamento trent’anni  fa  di alcuni  fossili in Grecia, a Tourkovounia vicino  ad Atene, e conservati  in una raccolta  custodita dall’Università di  Torino, sono  stati recentemente  riesaminati    dal paleontologo  greco Georgios Georgalis che ha stabilito la loro età risalente ad 800.000 anni  fa, quindi molto  dopo  la fine del Pliocene.

 

I fossili, un pezzo  di  cranio  ed uno  di  mandibola della lunghezza di pochi  centimetri, son stati  comparati anatomicamente ai  varani: certo le loro  dimensioni non erano  quelle del  drago  di  Komodo, ma molto inferiori forse come adattamento  ad un clima che diventava sempre meno caldo.

 

 

Una tomba per l’ammiraglio macedone

Schizzo del  sepolcro

Sezione assonometrica del sepolcro

Gli  stessi  archeologi  che nell’agosto  scorso  hanno  scoperto  una grande tomba risalente al IV secolo a.C. ad Anfipoli (Grecia), hanno ipotizzato a chi  poteva essere dedicato un sepolcro di  quelle dimensioni, il più grande finora scoperto in terra ellenica.

La tomba, infatti, è composta da un ingresso monumentale a cui  si  accede attraverso un corridoio  di  cinque metri al  cui  temine vi è una scalinata di tredici  gradini. Il portale stesso è composto  da due pilastri in marmo  con in cima un architrave su  cui  poggiano  due sfingi in marmo  senza testa.

Superato questo primo  portale si  accede ad un corridoio  con pavimento in mosaico e, quindi, ad un altro portale prima dell’ingresso  ad una camera funeraria in cui  sono  stati  rinvenuti i resti  del  defunto  ed il suo  corredo.

L’estate scorsa, quando  la tomba è stata portata alla luce, la notizia veniva riportata come “possibile ultima dimora di  Alessandro  Magno”. Ovviamente nulla di  più errato, anche se il personaggio  lì sepolto  era di  alto lignaggio.

Ed è appunto partendo  dai  resti  ritrovati  nella camera sepolcrale che l’archeologa Katerina Peristeri – allieva di Dimitri Lazaridis, il primo  ad ipotizzare che nella collina di  Kasta, a pochi  chilometri  da Anfipoli, vi era celato un sepolcro – ritiene essere la tomba di Nearco, ammiraglio  macedone ed uno  dei  compagni  più fedeli  di  Alessandro  Magno.

I risultati definitivi  si  avranno il 29 novembre dopo un’analisi  più approfondita delle ossa ritrovate.

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Una preghiera per la Dea Madre nel “Disco di Festo”?

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Il 3 luglio  del 1908 una spedizione archeologica italiana che si trovava nella città di  Festo (isola di  Creta) scoprì in un palazzo minoico un disco  di  terracotta di 16 centimetri  di  diametro  e 16 millimetri di  spessore: il “Disco  di Festo”.

L’autenticità del reperto (databile intorno  al 1700 a.C.), sia pur messa in dubbio  da alcuni  studiosi, si  basa sulla documentazione degli  scavi  fornita da i due archeologi italiani a capo della spedizione del 1908 (Luigi Pernier e Federico Halbherr),  e dalla comparazione con un altro  reperto, l’ Ascia di Arkalochori, che presenta dei  glifi  simili  a quelli impressi sul “Disco  di  Festo”.

In effetti sono  proprio  questi 241  “glifi”, incisi  sui  due lati  del disco  (visibili in alto  nella foto),  a far porre delle domande agli  studiosi  sul loro  significato: è un sillabario? Un alfabeto, oppure una logografia?.

La risposta a questo  quesito potrebbe essere quella del professore di linguistica Gareth Owens (in collaborazione con John Coleman, professore di  fonetica ad Oxford) che, dopo  sei  anni di  studio, ne ha “decifrato” la lettura, comparandola con la “lineare B” e “lineare A” micenea, con un percorso  che va dal bordo  esterno della spirale verso l’interno.

Il professor Owens ha identificato in questo modo  tre parole chiave:

  • IQEKURJA (“donna incinta”/”dea”)
  • IQE (“madre”/”dea”)
  • IQEPAJE oppure IQE – Phae (“splendente madre”/”dea”).

A questo punto  è facile pensare che la scrittura rappresentata sul  disco  sia una preghiera rivolta ad una dea minoica: la Dea Madre.

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