Taggeologia

Nuova ipotesi sull’eruzione dell’isola di Thera

Rappresentazione dell'eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

Rappresentazione dell’eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

 

L’isola di  Thera,  oggi chiamata   Santorini, nel 1650 a.C. subì evento  catastrofico  a seguito  di una   eruzione  vulcanica e dello  tsunami conseguente ad esso.

Tale evento, se pur non quello principale che causò la caduta della civiltà minoica, destabilizzò in maniera devastante la vita in quell’area.

Alcuni  miti greci prendono  spunto da quell’evento: Platone narra in  Crizia  il mito  di  Atlantide e la fine di  questa civiltà a seguito dell’inabissamento  dell’isola su  cui  essa si  era sviluppata.

Crizia – pdf

Ritornando  all’eruzione di  Thera, si è sempre detto  che lo tsunami si  formò per il collasso  del vulcano da cu si originò una caldera.

Oggi, nuove ricerche, attribuiscono la formazione di  questa gigantesca onda, non tanto  al collasso  del  vulcano, quanto  allo spostamento in mare di  enormi  quantità di  materiale piroclastico.

Gli  scienziati, dopo aver esaminato dati  sismici e vulcanici, insieme alla mappatura dettagliata del fondo  marino adiacente a Santorini, hano evidenziato  come la caldera non fosse collegata al mare: i flussi piroclastici, cioè correnti in rapido  movimento di materiale vulcanico che, scorrendo   lungo i  fianchi  del  vulcano  ad  una velocità di 70 km/h e con la temperatura di 400°C, una volta raggiunto il mare si  solidificano spostando  enormi  quantità di acqua con la conseguente formazione dello tsunami.

Gli  scienziati, a supporto  di  questa tesi, ricordano  che nel 1883 l’eruzione del  vulcano  Krakatoa (isola di Rakata, Indonesia) ha avuto  lo stesso meccanismo ipotizzato per Thera, solo  che, in quest’ultimo  caso, l’evento fu molto più distruttivo.

 

 

Uno tsunami del passato

 

2004 Indonesia Tsunami Complete.gif
Animazione degli tsunami creati dal terremoto sottomarino del 2004 nel sud-est asiatico.

 

Di  tutti gli  scenari di  catastrofi  naturali forse nell’immaginario quello  che colpisce di più è il fenomeno  dello  tsunami.

La memoria va quindi  a quello che accadde nel 26 dicembre del 2004 nell’Oceano  Indiano: uno  tsunami causato da un terremoto  con una magnitudo pari  a 9,3 (secondo  solo  a quello verificatosi in Cile il 22 maggio  del 1960 con magnitudo pari  a 9,5) causò centinaia di  migliaia di  vittime.

L’altezza delle onde arrivò fino  a 27 metri, per confronto un palazzo  di  sei piani  è alto all’incirca venti metri.

Dodici  anni  fa la notizia di  quello  che successe in quella fascia del nostro pianeta fece il giro  del mondo in pochi  secondi, grazie soprattutto  ai  social – media.

Un evento simile,  altrettanto  tragico se non più, avvenne nel 6.200 a.C. nel  Mare del  Nord ed, ovviamente, non essendoci  allora nessun mezzo  di  comunicazione globale, dobbiamo  affidarci agli  studi  degli  archeologi, paleontologi   e geologi per conoscere l’entità di  quel fenomeno.

Tralasciando  le analisi specialistiche,  si  sa che lo  tsunami  ebbe come conseguenza il crollo  di 290 chilometri della piattaforma continentale nei  pressi della Norvegia.

Gli  abitanti  dei  villaggi  mesolitici che vivevano vicino  la mare furono sommersi  all’istante dalle onde dello  tsunami con altezza analoga a quella dell’Oceano  Indiano del 2004.

Si può ipotizzare che anche allora le vittime furono  tante ma sempre in rapporto  alla densità demografica di  quell’epoca.

Può accadere  che fenomeni  del  genere si  verifichino ancora?

Gli  scienziati  rassicurano  che ciò è statisticamente poco  probabile.

Ma non impossibile.

Perché corre così tanto il ghiacciaio Jakobshavn?

 

Location within Greenland
Mappa della Groelandia By Uwe DederingOwn work, CC BY-SA 3.0,

 

La particolarità del  ghiacciaio Jakobshavn Isbrae (Groelandia) è quello  di  essere fra tutti i ghiacciai  del nostro pianeta il più veloce a correre verso il mare: 17 chilometri  all’anno.

Questa corsa forsennata, sempre riferito  ad un ghiacciaio,  ha come risultato quello  di  scaricare in mare enormi  quantità di  ghiaccio  innalzandone il livello: dal 1900, data di inizio dei  rilevamenti, il ghiacciaio  ha perso qualcosa come 9.000 miliardi di  tonnellate di  ghiaccio.

Questo preoccupa non poco  i  climatologi per gli  scenari futuri su un clima già compromesso da altri  fattori  antropici.

A cosa è dovuto, però, lo  scivolamento del Jakobshavn Isbrae verso il mare?

Una recente ricerca attraverso  l’utilizzo  di radar adatti a penetrare il ghiaccio,  ha evidenziato   la presenza di un’antica rete di  canali  fluviali che, 3,5 milioni  di  anni  fa e cioè prima della formazione del ghiacciaio ,  hanno  formato un paesaggio ricco  di  canyon e valli con un clima decisamente più “tropicale”.

Nel  centro del Jakobshavn Isbrae, dove il ghiaccio  è più spesso, il paesaggio  primordiale sottostante si  è conservato. Ai margini, lo scioglimento  del  ghiaccio, con l’acqua di  drenaggio  andrebbe ad alimentare gli  antichi  canali che, in questo  caso, funzionerebbero  da scivolo per la corsa verso il mare.

Il trisolfuro che piacerebbe a Scrooge McDuck

131015

Se Paperopoli esistesse, sicuramente il suo papero  più ricco (Paperon de’ Paperoni:  per chi  è  a digiuno sui nomi della famiglia dei paperi disneyani) avrebbe finanziato la ricerca che,  nella realtà, ha svolto il Cnrs francese (l’equivalente del nostro Cnr): il modo con il quale si  creano  le miniere d’oro.

Si  sa che l’oro può trovarsi in alta concentrazione in alcune miniere,  di  cui  la più grande si  trova in Indonesia (Grasberg Mine) con una produzione di 44,912 tonnellate di oro  puro (dati  riferiti all’anno 2011), ma non si  comprendeva il perché di  tale abbondanza.

L’oro è l’elemento molto inerte: non è intaccato dalla maggior parte dei  reagenti chimici mentre con il mercurio  forma un amalgama. Per questa sua caratteristica è difficile pensare che i normali  fluidi geologici potessero  funzionare da “nastro  trasportatore” per l’oro. Fintanto  che, nel 2011, venne scoperto lo  ione trisolfuro (S3).

Il team franco – tedesco  che scoprì in laboratorio  lo ione trisolfuro, accertò che esso  era molto stabile in forma acquosa e che, quindi, scorrendo negli  strati  geologici  trasporta con se i metalli  nobili  tra cui, appunto, l’oro facendolo depositare nelle miniere.

La scoperta dell’ S3 potrebbe anche essere utilizzata per affinare i processi  di  estrazione dell’oro.

Scrooge McDuck (alias Paperon de’Paperoni) ci  sta già pensando al suo  utilizzo  pratico.

 

Onde alte 300 metri di un antico tsunami

L'isola di Fogo con la caldera formata dal crollo del vulcano

L’isola di Fogo con la caldera formata dal crollo del vulcano

Il maremoto verificatosi nell’Oceano Indiano il 26 dicembre 2004,  che causò la perdita di  centinaia di migliaia di  vite umane, generò onde alte quattordici  metri, quanto, se non più, una palazzina di  tre piani.

Possiamo solo immaginare come possa essere devastante un’onda di uno tsunami alta duecentocinquanta metri.

Non è il soggetto di un film catastrofico, ma ciò che è realmente accaduto, secondo  alcuni  scienziati, 73 mila anni  fa quando il versante orientale del  vulcano  dell’isola di  Fogo (Capo Verde) collassò in mare.

La colossale onda che si  formò,  si  spinse fino  all’isola di  Santiago  distante trenta miglia: qui, una volta infranta contro il bordo  roccioso  dell’isola, scaraventò al suo interno enormi massi  come quello visibile nella foto in basso.

5612cf461400002900bfc21c

Gli  scienziati, analizzando  queste rocce, hanno  stabilito  che hanno  tutte la stessa medesima età geologica e che, quindi, siano  state spinte all’interno  dell’isola ( fino  a  più di  mezzo  chilometro) da un unico  evento  che avrebbe avuto  la potenza necessaria per spostarle come, appunto, lo  tsunami causato  dal crollo dell’isola di  Fogo.

Eventi  di  questo  genere sono fortunatamente rarissimi, ma non impossibili: lo stesso  vulcano  del’isola di  Fogo  è tutt’ora attivo (l’ultima  eruzione risale al 1995).

In Italia, sotto  la superficie del Tirreno meridionale, a 140 chilometri  dal nord della Sicilia ed a 150 chilometri  ad ovest della Calabria,   vi è il più esteso  vulcano  attivo  d’Europa: il Marsili.

È considerato potenzialmente pericoloso  per la possibilità di  generare catastrofici maremoti e conseguenti tsunami.

Forse sarebbe il caso di  rivedere il progetto del ponte sullo  Stretto.

Anzi, sarebbe il caso  di non costruirlo mai.

Niente paura: la “Luna Rossa” non porta sciagure

lunarossa28settembre

 

Il prossimo  28 settembre avremo “Eclissi di  sangue” e cioè una eclissi lunare spettacolare che “tingerà” di  rosso il nostro  satellite.

Ciò è dovuto  al fatto  che la Luna, trovandosi  al perigeo e cioè alla distanza minima dalla Terra, risulterà essere più grande del 14 per cento rispetto alla visione normale.

In basso la tabella fornita dall’Unione Astrofili Italiani (Uai)

orariSuperlunaEclissi

Se è vero che lo spettacolo non è per tutti, solo  le regioni  nordoccidentali italiane potranno goderne appieno della eclissi, è anche vero  che eventi  simili scatenano la fantasia di  alcuni, paventando catastrofi mondiali  come l’impatto  di una meteora sulla Terra.

Ciò non accadrà il 28 settembre prossimo e, probabilmente non acadrà per decine e decine se non centinaia di  anni (purtroppo il “Cigno nero” è una possibilità sempre presente.

Ovviamente questo  tipo  di  catastrofe è avvenuta già in passato (una per tutti  quella che ha portato  all’estinzione dei dinosauri.

Di  solito  sono  questi eventi singoli, riguardanti una sola meteora  che impatta con la Terra, eppure, 458 milioni  di  anni  fa vi  sono state due meteore che, simultaneamente, si  sono  scontrate con il nostro pianeta.

Il doppio impatto è stato al centro  di una ricerca dell’Università di Götemborg (Svezia meridionale),  svolta nella contea di  Jämtland dove sono situati  due crateri che si  sono  formati   dopo  l’urto.

Le dimensioni  delle due meteore erano molto  diverse: la più grande ha lasciato un cratere che misura 7,5 chilometri  di  diametro. L’altro  cratere ha dimensioni decisamente molto  più piccole e cioè solo  di 700 metri.

Ciò porterebbe a pensare che la meteora era una sola e che solo in un solo momento, magari entrando  nell’atmosfera terrestre,  si  sia scissa. La distanza fra i  due crateri  è di  sedici  chilometri.

Naturalmente, 458 milioni  di  anni fa, Jämtland non aveva l’aspetto odierno: era un fondale marino posto  a cinquecento  metri  dalla superficie dell’acqua.

[mappress mapid=”21″]

Eruzioni vulcaniche ed estinzioni di massa

La conformazione della Terra nel Sakmariano all'inizio del Permiano

La conformazione della Terra nel Sakmariano all’inizio del Permiano

Alla fine del Permiano, 250 milioni  di  anni  fa (vedi schema alla fine dell’articolo), si  ebbe la più grande estinzione di  massa che il nostro pianeta abbia mai  conosciuto: il 90 per cento  delle specie marine ed il 75 per cento di  quelle terrestri  si  estinsero nel  corso  di  circa 60.000 anni.

L’innesco  di  questa tragedia fu  una sensazionale attività vulcanica continentale accertata dalle recenti  ricerche dell’US Geological Survey (Menlo Park, California) in Siberia.

Dalle analisi effettuate sui  cristalli presenti in antiche rocce vulcaniche di ventuno siti siberiani, gli  scienziati  sono  arrivati  alla conclusione che in quella regione che oggi è la Siberia si ebbe, a seguito  delle eruzioni  vulcaniche, un movimento magmatico pari  a 7 milioni  di  chilometri  quadrati con la produzione di  enormi  quantità di  gas che riscaldarono  globalmente l’atmosfera con conseguenti piogge acide.

Le eruzioni, sempre secondo lo studio americano, ebbero inizio trecentomila anni prima dell’estinzione di  massa, proseguendo  per altri cinquecentomila anni  dopo di  essa.

La chiave di  questi  risultati è dovuta al  decennio  di progressi  fatti  nell’analisi della datazione di  antiche rocce attraverso  la misurazione di  uranio e piombo e nuove strumentazioni  tecnologiche.

 

Clip_29

 

Calore e vita

"Le sabbie di  Marte"

 

Secondo  alcuni  ricercatori  della Louisiana State University le condizioni  ambientali  che hanno  favorito le forme termofile sulla Terra sono state causate dall’impatto  di otto  mega asteroidi ben 3, 3 miliardi  di  anni  fa.

Donald Lowe e Gary Byerly, i due geologi  che hanno  avanzato  tale ipotesi, sono  arrivati  a questa conclusione esaminando  le rocce del  sito  di Barberton Greenstone (Sud Africa): l’esame di  queste rocce evidenzierebbe il fatto che, nell’arco  di 250 milioni  di  anni, il nostro  pianeta avrebbe subito l’impatto  di  ben  otto  asteroidi dalle dimensioni  che potevano  arrivare anche alle 60 miglia di  larghezza (quello che ha causato l’estinzione dei  dinosauri  era largo solamente 6 miglia).

Questi impatti  hanno  causato  l’innalzamento  della temperatura degli  oceani primordiali e, conseguentemente, ciò ha agito  come “selezione naturale” in favore di  quegli  organismi più adattati alle temperature estreme.

Per i prossimi  giorni si prevedono  temperature molto  calde, ma nessun pericolo  di  estinzione per il  genere umano: è solo un’altra calda estate.

I misteriosi crateri siberiani

Uno dei crateri presenti  nella penisola di Yamal (Siberia)

Uno dei crateri presenti nella penisola di Yamal (Siberia)

L’estate scorsa in Siberia alcuni  pastori  di  renne scoprirono  dei misteriosi  crateri giganti  di cui non si supponeva l’esistenza.

Ad essi  si  aggiunsero, attraverso  la visione di immagini satellitari, altri crateri circondati  da strutture geologiche circolari più piccole.

I  crateri  si  trovano in una zona compresa tra la penisola di Yamal  e quella vicino  alla penisola di Taimyr.

È l’origine  di questi  crateri (di  cui  due, nel  frattempo,  si  sono  trasformati in laghi) che preoccupa gli  scienziati; molti  di loro  pensano  che siano  stati  generati da esplosioni  di  gas ad alta pressione (metano o  biossido  di  carbonio) rilasciati  dallo  scioglimento  del permafrost originato, a sua volta, dal  cambiamento  climatico  che ha innalzato la temperatura atmosferica.

Naturalmente il fenomeno desta preoccupazione perché può avvenire ovunque vi  siano  fonti di  gas naturale soggette allo  scioglimento  del permafrost, anche in zone più popolate come in Alaska e Canada nord-occidentale.

 

 

Ciò che fa scivolare le placche tettoniche

La mappa mostra le 15 placche tettoniche del pianeta

La mappa mostra le 15 placche tettoniche del pianeta

Gli  studi  geologici  hanno  sempre detto  che la crosta terrestre è costituita da almeno  15 placche tettoniche che, spostandosi, hanno  creato  catene montuose, vulcani e, purtroppo, anche zone sismiche.

Ma l’esatto meccanismo con cui le placche si muovono  era rimasto un mistero  fino  ad oggi, e cioè quando un nuovo  studio ha evidenziato  come le placche scivolino  su  di uno  strato di  roccia “morbida”, spesso sei miglia, posto  tra la base delle placche e la porzione superiore del mantello  terrestre (lo strato di  roccia fusa intorno  al nucleo del pianeta).

Gli  scienziati per la loro  ricerca hanno utilizzato la dinamite per generare onde sismiche nella zona meridionale del North Island (Nuova Zelanda), la quale si trova al  di sopra di  quella che viene denominata “Pacific Plate”.

Le onde sismiche che viaggiavano  attraversando  la Pacific Plate, sono  state mappate ed i  dati ottenuti  sono  stati utilizzati per creare un’ immagine la più dettagliata possibile di una placca tettonica oceanica.

I dati  hanno  evidenziato  come la velocità delle onde sismiche era notevolmente rallentata incontrando  la base della placca: da qui la certezza che esse abbiano  attraversato lo  strato “gelatinoso”  di rocce semi-fuse tra placca e mantello che funzionerebbe come lubrificante.

 

 

© 2024 24Cinque

Theme by Anders NorénUp ↑