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Nuova ipotesi sull’eruzione dell’isola di Thera

Rappresentazione dell'eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

Rappresentazione dell’eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

 

L’isola di  Thera,  oggi chiamata   Santorini, nel 1650 a.C. subì evento  catastrofico  a seguito  di una   eruzione  vulcanica e dello  tsunami conseguente ad esso.

Tale evento, se pur non quello principale che causò la caduta della civiltà minoica, destabilizzò in maniera devastante la vita in quell’area.

Alcuni  miti greci prendono  spunto da quell’evento: Platone narra in  Crizia  il mito  di  Atlantide e la fine di  questa civiltà a seguito dell’inabissamento  dell’isola su  cui  essa si  era sviluppata.

Crizia – pdf

Ritornando  all’eruzione di  Thera, si è sempre detto  che lo tsunami si  formò per il collasso  del vulcano da cu si originò una caldera.

Oggi, nuove ricerche, attribuiscono la formazione di  questa gigantesca onda, non tanto  al collasso  del  vulcano, quanto  allo spostamento in mare di  enormi  quantità di  materiale piroclastico.

Gli  scienziati, dopo aver esaminato dati  sismici e vulcanici, insieme alla mappatura dettagliata del fondo  marino adiacente a Santorini, hano evidenziato  come la caldera non fosse collegata al mare: i flussi piroclastici, cioè correnti in rapido  movimento di materiale vulcanico che, scorrendo   lungo i  fianchi  del  vulcano  ad  una velocità di 70 km/h e con la temperatura di 400°C, una volta raggiunto il mare si  solidificano spostando  enormi  quantità di acqua con la conseguente formazione dello tsunami.

Gli  scienziati, a supporto  di  questa tesi, ricordano  che nel 1883 l’eruzione del  vulcano  Krakatoa (isola di Rakata, Indonesia) ha avuto  lo stesso meccanismo ipotizzato per Thera, solo  che, in quest’ultimo  caso, l’evento fu molto più distruttivo.

 

 

Una preghiera per la Dea Madre nel “Disco di Festo”?

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Il 3 luglio  del 1908 una spedizione archeologica italiana che si trovava nella città di  Festo (isola di  Creta) scoprì in un palazzo minoico un disco  di  terracotta di 16 centimetri  di  diametro  e 16 millimetri di  spessore: il “Disco  di Festo”.

L’autenticità del reperto (databile intorno  al 1700 a.C.), sia pur messa in dubbio  da alcuni  studiosi, si  basa sulla documentazione degli  scavi  fornita da i due archeologi italiani a capo della spedizione del 1908 (Luigi Pernier e Federico Halbherr),  e dalla comparazione con un altro  reperto, l’ Ascia di Arkalochori, che presenta dei  glifi  simili  a quelli impressi sul “Disco  di  Festo”.

In effetti sono  proprio  questi 241  “glifi”, incisi  sui  due lati  del disco  (visibili in alto  nella foto),  a far porre delle domande agli  studiosi  sul loro  significato: è un sillabario? Un alfabeto, oppure una logografia?.

La risposta a questo  quesito potrebbe essere quella del professore di linguistica Gareth Owens (in collaborazione con John Coleman, professore di  fonetica ad Oxford) che, dopo  sei  anni di  studio, ne ha “decifrato” la lettura, comparandola con la “lineare B” e “lineare A” micenea, con un percorso  che va dal bordo  esterno della spirale verso l’interno.

Il professor Owens ha identificato in questo modo  tre parole chiave:

  • IQEKURJA (“donna incinta”/”dea”)
  • IQE (“madre”/”dea”)
  • IQEPAJE oppure IQE – Phae (“splendente madre”/”dea”).

A questo punto  è facile pensare che la scrittura rappresentata sul  disco  sia una preghiera rivolta ad una dea minoica: la Dea Madre.

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