Tagarcheologia

Archeologia in Arabia Saudita

 

Harrat Khaybar Space.jpg

Immagine satellitare dell’Harrat Khaybar ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale durante la 16° missione

 

Sappiamo  che le famose Linee di  Nazca sono osservabili  nel loro  stupefacente insieme solo  all’alto, per tanto, considerando l’epoca in cui vennero  tracciate, tra il 300 a.C. ed il 500 d.C., si  ritiene un mistero di  come la popolazione di  allora possa averle realizzate.

Molte più antiche ed enigmatiche,  sono  altre strutture sorte migliaia di  anni  fa in Medio  Oriente: esse rappresentano  varie forme geometriche, per lo più raffiguranti circoli.

Le leggende della cultura beduina parlano degli  Antichi  uomini  come costruttori di esse, mentre sul  loro  utilizzo  gli  archeologi  ancora non si  sbilanciano ipotizzando il loro  uso  come recinti  cultuali o cimiteri.

In passato  gli  archeologi disponevano  per le loro ricerche solo  di  alcune immagini  aeree comprese in un periodo  tra la fine della Prima guerra mondiale  e la metà degli  anni ’50. Nel 1995 il presidente Bill Clinton  declassificò documenti  della CIA contenenti  immagini  satellitare del  Medio Oriente, tra le quali vi  erano anche quelle riguardanti i siti  d’interesse per gli  scienziati.

Oggi  è la tecnologia offerta da Google Earth che permette visualizzazioni  di immagini  molto più accurate.

Inoltre essendo Google Earth, insieme a Bing Maps, tecnologie usufruibili  da tutti, ecco  che anche appassionati  di  archeologia (sarebbe ingiusto  chiamarli  dilettanti  preferendo a questo  termine quello  di  amatori)  sono  scesi in campo  per dare una mano  ai ricercatori.

Così il dottor Abdullah al-Sa’eed ed i  suoi  colleghi  hanno dato  vita al  The Desert team con sede a Riyadh. Utilizzando  le immagini  ad alta definizione di  Google Earth, hanno  esplorato un enorme campo  di  lava posto nell’Arabia Saudita occidentale: l’Harrat Khaybar .

Questa esplorazione a distanza portò alla scoperta di innumerevoli  strutture fino  ad allora sconosciute.

La questione però è un’altra e, cioè, che le immagini  fornite da Google Earth  (e Bing Maps9  sono pur sempre bidimensionali e il loro ingrandimento, se pur alla massima risoluzione, non è sempre dettagliato per cui  la ripresa aerea rimane sempre un’opzione valida per la ricerca scientifica.

 

L’autocombusione del faraone Tutankhamon

Maschera funeraria del faraone Tutankhamon – Museo del Cairo

 

Nel 1985 la casa editrice Mondadori pubblicò nella collana Urania, dedicata ai  romanzi  di  fantascienza, Autocombustione umana dello  scrittore irlandese  Bob Shaw (vedi  anche l’articolo  su  24Cinque Autocombustione umana: dalla fantascienza alla (fanta)scienza). 

 

La trama del libro, intuibile dal titolo, rimanda al fenomeno per cui un corpo umano prende fuoco senza nessuna causa apparente: ovviamente, per quanto una certa cronaca  parla di fenomeni realmente accaduti, in mancanza di prove scientifiche certe possiamo tranquillamente affermare di trovarci nel campo del paranormale o, per meglio  dire, della pseudoscienza.

Anche per il faraone Tutankhamon si è parlato in passato di  autocombustione, anche se ciò era accaduto per un fenomeno  legato  alla reazioni  chimiche tra gli  elementi utilizzati per il processo  di imbalsamazione.

Nel 2013, Chris Hauton, direttore dell’Egypt Exploration Society,  insieme all’archeologo  forense Matteo Ponting e l’antropologo  Robert Connolly, hanno esaminato un lembo  di pelle preso  dal  corpo del  faraone, traendone la conclusione che, dopo il seppellimento e all’interno  del  sarcofago, vi sia stato l’autocombustione innescata da un errata procedura eseguita dagli imbalsamatori.

Ricordiamo che la scoperta della tomba di  Tutankhamon, avvenne nel 1922 nella Valle dei  Re  ad opera di Howard Carter e che  la tragica morte di  alcuni degli  scopritori non fece altro  che alimentare la leggenda di una superstizione legata alla profanazione della tomba (eppure Howard Carter, il responsabile del  ritrovamento, morì di  vecchiaia nel 1939).

Non è accaduto  nulla di  tutto  questo  ai  tre scienziati che hanno ipotizzato una parziale autocombustione della mummia, se non una secca smentita da parte di  R.C. Williams del National  Geography con l’asserzione che l’ipotesi non era valida in quanto  nessuno  dei  gioielli o suppellettili sepolti  con Tutankhamon presentavano  segni  di  combustione.

Scoperte misteriose strutture in pietra in Arabia Saudita

L’immagine satellitare mostra le misteriose strutture in pietra scoperte in Arabia Saudita
 – Credit Google Earth – 

 

In una regione centro occidentale dell’Arabia Saudita, l’Harrat Khaybar,  gli  archeologi  hanno  portato  alla luce quattrocento  strutture di  pietra risalenti a 7.000 anni  fa.

 

Le strutture in pietra , scoperte attraverso  le immagini  satellitari, sono  attigue ad un cono  di un vulcano  ormai  spento  che però, in passato, ha eruttato  lasciando strati  di  lava basaltica.

Il loro scopo è  ancora motivo  di  studio  da parte degli  archeologi della University of Western Australia, poiché ancora non si  comprende il motivo  per cui esse sono  state realizzate in una regione così inospitale.

Per questo motivo, essendo  gli  studi preliminari  condotti  solo  attraverso le analisi  delle immagini  satellitari, si pensa di realizzare quanto  prima un campo  archeologico formato  da un team di  scienziati  australiani  ed arabi.

 

I recinti di Avebury più antichi di Stonehenge

Veduta aerea degli scavi nei pressi di Avebury

Non passa giorno  che nuove scoperte archeologiche stimolano  la curiosità e la fantasia solo  perché vengono pubblicizzate dai  media con l’aggettivo  di misteriose.

Ed è questo l’esempio  di una scoperta risalente agli  anni ’80  avvenuta  ad Avebury, a soli  37 chilometri  dal  sito di  Stonehenge.

 

Durante i lavori  di posa di una pipeline vennero  alla luce i resti  carbonizzati di due enormi  recinti protetti  da palizzate in legno.

Un successivo  ritrovamento  di  un manufatto  in ceramica all’interno  di uno  dei  due recinti, e la sua datazione attraverso  analisi del  carbonio,  determinò una datazione intorno  al 2.500 a.C., cioè coevo  ale prime pietre erette di  Stonehenge.

Con il passare del tempo  anche le analisi  al  radio  carbonio  si  sono  affinate, per cui, una successiva stima su  altri  manufatti  ed ossa di  animali ritrovati in loco, retrocede di ottocento  anni  la prima datazione effettuata con il vecchio  metodo.

Sull’utilizzo dei  due recinti  si  sono  fatte alcune  ipotesi, una di  esse parla di luoghi  di  ritrovo connessi ad antichi  riti legati alla caccia.

Comunque sia, tutta la zona attorno  ad Avebury è ricca di siti  archeologici la cui fruizione è ancora da chiarire.

 

Un antico e misterioso megalite scoperto in Russia

Il megalite raffigurante un grifone ritrovato nella regione dell’Altaj (Russia)

 

Bisogna aguzzare la vista per scorgere nell’immagine il profilo di un grifone scolpito  nella roccia:  dietro  alla sua realizzazione rimane il mistero del popolo che lo  ha realizzato.

La scoperta, avvenuta nel 2013 ma solo  recentemente resa pubblica, è stata localizzata presso il monte Mokhnataja a 20 chilometri  dalla città di Belokurikha nella regione di  Altaj  (Russia).

Per gli  archeologi l’età del megalite risale tra gli 11.000 e 12.000 anni fa durante l’ultima glaciazione (i  megaliti di  Stonehenge sono  stati  eretti  all’incirca 2.500 anni fa).

Gli  archeologi, comunque, rimangono   cauti  nell’attribuzione di una datazione certa fintanto  che non si  stabilisce qualcosa di più sulla civiltà che ha eretto il megalite  e che, molto probabilmente, ha un legame con una possibile migrazione forzata dovuta all’era glaciale.

 

Le tombe dipinte nella Cina della dinastia Liao

Un murale nella tomba scoperta nel nord della Cina. Credit: Chinese Cultural Relics

 

Ha  all’incirca mille anni  la tomba scoperta a Datong (nord della Cina), il cui  ingresso era stato  sigillato  con un muro  fatto  di  mattoni.

Al  suo interno gli  archeologi  del Datong Municipal Institute of Archeology, hanno rinvenuto un’urna posta al centro  della tomba con i  resti di una cremazione riguardanti un uomo  ed una donna (gli  archeologi pensano  che fossero  marito  e moglie).

Quello che però ha stupito  gli  studiosi, è una serie di  murales intorno  alle pareti  della tomba molto  ben conservati  nonostante  sia passato più di un millennio.

Le figure rappresentate sono quelle di  servi, animali  (gru) e immagini  di  abbigliamento  con i loro  colori  vivaci.

Il team ritiene che la tomba risalga alla dinastia Liao  (907 – 1125 d.C.), meglio conosciuta come impero  Kitai regnante  sulla Manciuria e la Mongolia e su parte della Cina settentrionale e che essa può servire a comprendere meglio il modo  di vivere durante quel periodo.

 


 

 


 

Le sepolture in anfora nell’Antico Egitto

Resti di un bambino sepolto in un vaso. Cimitero di AdaÏma, Egitto (5550 – 2700 a.C.). Foto: Crubezy & Midant  – Reynes / IFAO

 

Gli  archeologi Ronika Power della University of Cambridge, ed il suo  collega Yann Tristant della Macquarie University, hanno  un ipotesi  molto plausibile riguardante le sepolture di neonati, ma anche di  adulti, in anfore.

Si è sempre pensato  che questo  tipo  di  sepoltura erano un ripiego per le  famiglie  più povere le quali, evidentemente, non potevano permettersi  una tomba per i propri  cari.

L’ipotesi  dei  due archeologi  è quella di non trovarsi  di  fronte ad una necessità dovuta alla povertà ma,  anzi, ad un vero  è proprio culto  del  defunto riguardante la sua rinascita.

Un’anfora, in effetti, è di  quanto più simile possa essere interpretato  come un grembo  materno. In questo  caso, raccogliendo in essa le spoglie del defunto, il suppellettile diventa l’utero (o  anche l’uovo) da cui il trapassato  rinascerà nell’aldilà.

I due studiosi rimangono  comunque cauti su  questa loro  idea, lasciandone la conferma ad ulteriori  approfondimenti sul significato  simbolico di  questa particolare modalità di  sepoltura.

 

Nuova ipotesi sull’eruzione dell’isola di Thera

Rappresentazione dell'eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

Rappresentazione dell’eruzione del vulcano Krakatoa nel 1883

 

L’isola di  Thera,  oggi chiamata   Santorini, nel 1650 a.C. subì evento  catastrofico  a seguito  di una   eruzione  vulcanica e dello  tsunami conseguente ad esso.

Tale evento, se pur non quello principale che causò la caduta della civiltà minoica, destabilizzò in maniera devastante la vita in quell’area.

Alcuni  miti greci prendono  spunto da quell’evento: Platone narra in  Crizia  il mito  di  Atlantide e la fine di  questa civiltà a seguito dell’inabissamento  dell’isola su  cui  essa si  era sviluppata.

Crizia – pdf

Ritornando  all’eruzione di  Thera, si è sempre detto  che lo tsunami si  formò per il collasso  del vulcano da cu si originò una caldera.

Oggi, nuove ricerche, attribuiscono la formazione di  questa gigantesca onda, non tanto  al collasso  del  vulcano, quanto  allo spostamento in mare di  enormi  quantità di  materiale piroclastico.

Gli  scienziati, dopo aver esaminato dati  sismici e vulcanici, insieme alla mappatura dettagliata del fondo  marino adiacente a Santorini, hano evidenziato  come la caldera non fosse collegata al mare: i flussi piroclastici, cioè correnti in rapido  movimento di materiale vulcanico che, scorrendo   lungo i  fianchi  del  vulcano  ad  una velocità di 70 km/h e con la temperatura di 400°C, una volta raggiunto il mare si  solidificano spostando  enormi  quantità di acqua con la conseguente formazione dello tsunami.

Gli  scienziati, a supporto  di  questa tesi, ricordano  che nel 1883 l’eruzione del  vulcano  Krakatoa (isola di Rakata, Indonesia) ha avuto  lo stesso meccanismo ipotizzato per Thera, solo  che, in quest’ultimo  caso, l’evento fu molto più distruttivo.

 

 

Antiche civiltà nei pressi del Mar Caspio

Particolare del sito scoperto nella zona del Mar Caspio Credit: Photo: Evgeniï Bogdanov

Particolare del sito scoperto nella zona del Mar Caspio
Credit: Photo: Evgeniï Bogdanov

 

Un complesso  formato  da strutture in pietra e risalente a 1.500 anni  fa, è stato  recentemente scoperto sulla riva orientale del Mar Caspio, nella penisola di Mangyshlak in Kazakistan.

Le strutture in pietra, molto probabilmente costruite da tribù nomadi,  hanno  diverse dimensioni tutte formate da lastre  inserite verticalmente nel  terreno. Alcune di  esse, per la disposizione, ricordano  le strutture di  Stonehenge ed hanno incise su  di  esse rappresentazioni  di  armi  ed animali.

Ma il ritrovamento più sensazionale è quello  di una sella in una delle strutture in pietra: essa è  in parte realizzata in argento con immagini  di  leoni, cinghiali  e cervi incisi  su  di  essa.

Per gli  archeologi  dell’Accademia Russa delle Scienze, che dal 2014 operano nel  sito, il possessore della sella era un individuo dotato  di  notevoli  privilegi  nella propria comunità. Questo perché, sempre incisi  nella sella, vi  sono  particolari simboli, chiamati tamgas  che ne denotano, appunto, la condizione di potere.

Insieme alla sella è stato  rinvenuto  anche uno scheletro, ma dalle analisi  di  laboratorio la datazione delle ossa riporta ad un’età molto  anteriore a quella del manufatto.

Si pensa, inoltre, che sia la sella che lo  scheletro possano  essere stati  deposti in quella particolare struttura dopo un rituale di inumazione.

 

 

 

Cochno stone: la pietra nascosta

cochno-stone-distance

La “Cochno stone” recentemente disseppellita in Scozia. Credit: University of Glasgow

Nel 1887, nel Dunbartonshire Occidentale (Scozia), il reverendo ed archeologo James Harvey portò alla luce una pietra completamente piatta, dal  diametro  di  13 metri, con incise su  delle coppelle racchiuse in un vortice, datata intorno  al 3.000 a.C.

Nel 1965 la pietra venne danneggiata da vandali e dall’azione delle intemperie, questo  spinse gli  archeologi  a seppellirla di nuovo ai  fini  di proteggerla. Solo  recentemente è stata disseppellita per essere studiata con procedure e tecnologie moderne come, ad esempio, una riproduzione digitale tridimensionale della pietra.

In altre parti  del mondo  sono state scoperti reperti  simili, ma la pietra di Dubanrtonshire (chiamata anche stone Cochno) è quella che presenta il miglior esempio  di particolare arte rupestre di  cui lo  scopo è ancora un mistero.

Una prima ipotesi  fu quella dell’archeologo Ludovic Maclellan Mann che, nel 1937, pensò ad un collegamento  tra le incisioni e fenomeni  astronomici  come le eclissi: Mann pensò che le coppelle fossero una specie di  marcatura riportanti i movimenti del sole e della luna per predire le eclissi.

Il destino della Cochno stone è, però, quello  di  essere celata  agli occhi umani: infatti  è stata di nuovo  seppellita per preservarla aspettando i finanziamenti ai fini della costruzione di una struttura protettiva e di, un parco  archeologico che attirerebbe un discreto  numero di  turisti

 

 

 

© 2024 24Cinque

Theme by Anders NorénUp ↑