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L’orrore del nazismo  rivive in due film di  cui il primo, Il labirinto  del  silenzio del  regista Giulio  Ricciarelli (in sala dal 14 gennaio 2016), racconta il processo avvenuto a Francoforte nel 1963, che portò alla sbarra ventidue uomini coinvolti  nella gestione del campo  di  sterminio  di  Auschwitz.

Era la prima volta che la Germania del  dopo guerra instaurò un processo penale per giudicare propri  connazionali  per i   delitti da loro commessi durante la Seconda guerra mondiale.

Il processo, voluto  dall’allora procuratore generale Fritz Bauer (egli  stesso ebreo  esiliato  in Danimarca nel 1940), non solo  ebbe una vasta eco in Germania per i  fatti riportati durante le udienze processuali ma,  soprattutto, fu il modo  in cui  un’intera nazione aprì gli occhi su  di un dramma che aveva rimosso  dalla propria coscienza collettiva: la Shoah.

Il film dell’ungherese Làszlò Nemes “Son of Saul” riporta indietro  nel  tempo, all’anno 1944, sempre ad Auschwitz: Saul Auslânder è un membro del  Sonderkommando (un gruppo  di prigionieri  ebrei costretti  ad assistere i nazisti nella loro opera di  sterminio). Saul, mentre svolge il suo  drammatico  compito,  scopre tra i  corpi  destinati  al forno  crematorio quello che crede suo  figlio.

A questo punto decide di  salvare il corpo  del  bambino  dalle fiamme per portarlo davanti  ad un rabbino e recitare il Kaddish  del  lutto e, quindi, offrire allo  sventurato una degna sepoltura.

A differenza del primo film, questo  film non racconta quello  che è  stata la Shoah, ma si  sposta sul piano  nel dramma personale di un uomo  costretto  dagli  eventi a perdere la sua umanità e ritrovarla in un’azione, quella di  salvare le spoglie mortali  del  bambino, vissuta come sua personale rinascita morale e, nello  stesso tempo, ribellione contro l’aberrazione nazista.