MonthNovembre 2017

The Whistleblower

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Approvata recentemente la legge che protegge chi  denuncia fatti  di  corruzione, il whistleblowing  (letteralmente colui  che soffia nel  fischietto) ci  si  aspetta da essa uno strumento in più per combattere il malaffare che da anni  colpisce il nostro Paese.

Se per l’Italia questa figura può essere considerata una novità, almeno  dal punto  di  vista giuridico riferendosi  alla maggiore tutela nei  suoi  riguardi, non lo è per l’ordinamento  giuridico  statunitense che, attraverso il False Claims Act , lo prevede  dal 1863.

Anche il cinema si è interessato ad un caso  clamoroso  di whistleblowing : nel 2011 la regista canadese Larysa Kondracki  diresse il film intitolato  appunto  The Whistleblower con Rachel  Weisz come interprete principale.

The Whistleblower SCHEDA DEL  FILM

 

La sceneggiatura del  film è basata su  di una storia vera che vede protagonista la poliziotta americana Kathryn Bolkovac  (il personaggio interpretato  dall’attrice  Rachel  Weitz) la quale, per far fronte ad un divorzio, decide di  seguire un’agenzia affiliata all’ONU nella Bosnia – Erzegovina alla fine della guerra etnica che devastò quelle terre.

Da lì a poco   scoprirà che in una organizzazione criminale, dedita al traffico  di  essere umani  e alla prostituzione minorile, figurano molti membri  della forza di  pace dell’ONU protetti dal loro  status di immunità diplomatica.

La giovane ed integerrima poliziotta nella sua indagine smuoverà la coltre di omertà sul traffico di  schiave sessuali, ma sarà ostacolata in questo proprio dai vertici delle forze di pace dell’ONU.

Non avrà alcuna scelta che denunciare il crimine all’opinione pubblica attraverso i media, divenne cioè una whistleblower.

In seguito allo scandalo  che ne venne fuori,   i responsabili  vennero  allontanati, ma non furono mai  giudicati  da una corte e quindi  mai condannati.

Kathryn Bolkovac non poté  lavorare più  per nessuna agenzia affiliata all’ONU.

Il film, nonostante abbia avuto  molti premi, non è entrato mai  nel circuito delle sale cinematografiche italiane ma solo in quella dell’home video e in streaming  su  Netflix


 

 


 

 

 

 

Archeologia in Arabia Saudita

 

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Immagine satellitare dell’Harrat Khaybar ripresa dalla Stazione Spaziale Internazionale durante la 16° missione

 

Sappiamo  che le famose Linee di  Nazca sono osservabili  nel loro  stupefacente insieme solo  all’alto, per tanto, considerando l’epoca in cui vennero  tracciate, tra il 300 a.C. ed il 500 d.C., si  ritiene un mistero di  come la popolazione di  allora possa averle realizzate.

Molte più antiche ed enigmatiche,  sono  altre strutture sorte migliaia di  anni  fa in Medio  Oriente: esse rappresentano  varie forme geometriche, per lo più raffiguranti circoli.

Le leggende della cultura beduina parlano degli  Antichi  uomini  come costruttori di esse, mentre sul  loro  utilizzo  gli  archeologi  ancora non si  sbilanciano ipotizzando il loro  uso  come recinti  cultuali o cimiteri.

In passato  gli  archeologi disponevano  per le loro ricerche solo  di  alcune immagini  aeree comprese in un periodo  tra la fine della Prima guerra mondiale  e la metà degli  anni ’50. Nel 1995 il presidente Bill Clinton  declassificò documenti  della CIA contenenti  immagini  satellitare del  Medio Oriente, tra le quali vi  erano anche quelle riguardanti i siti  d’interesse per gli  scienziati.

Oggi  è la tecnologia offerta da Google Earth che permette visualizzazioni  di immagini  molto più accurate.

Inoltre essendo Google Earth, insieme a Bing Maps, tecnologie usufruibili  da tutti, ecco  che anche appassionati  di  archeologia (sarebbe ingiusto  chiamarli  dilettanti  preferendo a questo  termine quello  di  amatori)  sono  scesi in campo  per dare una mano  ai ricercatori.

Così il dottor Abdullah al-Sa’eed ed i  suoi  colleghi  hanno dato  vita al  The Desert team con sede a Riyadh. Utilizzando  le immagini  ad alta definizione di  Google Earth, hanno  esplorato un enorme campo  di  lava posto nell’Arabia Saudita occidentale: l’Harrat Khaybar .

Questa esplorazione a distanza portò alla scoperta di innumerevoli  strutture fino  ad allora sconosciute.

La questione però è un’altra e, cioè, che le immagini  fornite da Google Earth  (e Bing Maps9  sono pur sempre bidimensionali e il loro ingrandimento, se pur alla massima risoluzione, non è sempre dettagliato per cui  la ripresa aerea rimane sempre un’opzione valida per la ricerca scientifica.

 

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